Molti dei conflitti armati del nostro tempo sono connotati in termini religiosi, basti pensare al conflitto tra ebrei e musulmani in Israele e Palestina, tra buddisti, induisti, musulmani e cristiani in Sri Lanka, tra cristiani e musulmani in Sudan e nelle Filippine. Dobbiamo dunque ammettere che le religioni, con il loro cuore di ideali che affermano la pace, l’amore, l’armonia voluta da Dio per l’essere umano e per il creato, siano causa di conflitti e del loro carico di distruzione e morte? La risposta a questa domanda è negativa. Guardando all’intreccio di fattori all’origine dei conflitti armati attuali, possiamo affermare che le religioni in sè non sono causa di conflitti. Esse sono tuttavia un elemento cruciale nel mantenimento dei conflitti, esse svolgono cioè un ruolo estremamente efficace nel fare sì che i conflitti proseguano. Una ragione di quanto appena affermato risiede nel fatto che le religioni sono importanti demarcatrici di identità individuali e collettive, e per questo si prestano a nutrire una comprensione opposizionale e conflittuale delle persone e della comunità di appartenenza. Non sarebbe possibile attingere a quel cuore di valori di pace, amore, e integrità dell’essere umano per fare proprio delle religioni, delle comunità religiose e di chi le guida, una risorsa per la costruzione della pace? È quello che crediamo e che ci testimoniano tanti esempi di sforzi da parte di leaders e comunità religiose impegnate a nutrire una cultura di pace, a prevenire conflitti e a ricostruire società colpite da conflitti. Chi guida comunità religiose ha spesso credibilità e autorità sia sulla popolazione sia sulla leadership politica. Per questa ragione è in grado di alimentare contrapposizione e belligeranza oppure pacifica risoluzione di conflitti. Sempre per l’autorità morale di cui godono e per l’influenza che esercitano sulle parti in conflitto, i leaders religiosi sono in condizione di facilitare il dialogo e le trattative tra parti opposte. Spesso nel periodo che fa seguito ad un violento conflitto, specialmente se prolungato, le uniche istituzioni ancora in piedi sono proprio le comunità religiose. Per questa ragione esse possono diventare importanti punti di riferimento per la gente, agenti di ricostruzione materiale e morale e promotrici di processi di riconciliazione. Il lavoro di costruzione della pace non deve certamente essere delegato alle guide delle diverse comunità religiose. Esso è un compito che riguarda ciascun membro a partire dalla parole, dai gesti e dalle scelte fatte quotidianamente. La pace è una rete delicata ed intricata di relazioni, in cui il benessere di ciascuno e ciascuna di noi è dipendente da quello di persone anche molto distanti. Nessuna persona è fuori da questa rete e tutti siamo chiamati a prendercene attivamente cura.
*Coordinatrice della Piattaforma Ecumenica per la Pace del Consiglio Ecumenico di Norvegia