fioreIoana Niculina Ghilvaciu

 

Agli sposati invece ordino, non io ma il Signore, che la moglie non si separi dal marito; Se il non credente si separa, si separi pure; in tal caso il fratello o la sorella non sono più obbligati; ma Dio ci ha chiamati alla pace.

(1 Corinzi 7, 10; 15)

Quando devono essere affrontate le delicate questioni matrimoniali, l’apostolo Paolo parte da questo importante principio di libertà: Dio ci ha chiamati alla pace. Un fratello o una sorella in Cristo non sono legati al coniuge come lo era uno schiavo al suo padrone, soprattutto quando la pace tra di loro non esiste più.

Il matrimonio è una promessa. Nessuno al di fuori di Dio stesso sa se il matrimonio celebrato durerà o no. Ciò non può essere garantito dalla benedizione ecclesiastica, né dalla celebrazione della promessa, né da un amore pieno di passione, né da una vita sessuale appagante per entrambi.

Quello che sappiamo è che Dio desidera che noi viviamo nello Shalom. È solo con questo “amore per la pace” che può resistere l’istituzione del matrimonio.

Paolo è convinto che tale intenzione divina per la vita, intenzione che trascende anche il matrimonio, continua efficacemente a sussistere anche quando la fine del rapporto tra i coniugi interrompe il matrimonio. Quando l’abitazione coniugale non è più ospitale per uno o entrambi i coniugi e non c’è più modo di ripristinare la sua ospitalità, coloro che sono coinvolti nella fine di un matrimonio hanno il diritto di applicare il principio che invita ad una vita nella pace, secondo Paolo.

Due coniugi si separano e divorziano quando il piccolo mondo di vita si è trasformato in modo tragico in un luogo di morte. A questo punto emerge il dovere di offrire l’uno all’altra una nuova possibilità per una vita nello Shalom. Questo perché quando il rapporto matrimoniale diventa schiavizzante, esso contraddice il progetto di Dio.

Una cosa è certa: quando fallisce un matrimonio, non fallisce la persona. Per il singolo individuo il naufragio di un matrimonio può senz’altro essere il punto per cominciare una nuova vita vissuta in un modo più maturo ed equilibrato, verso un nuovo ordine salvifico.

Girolamo diceva che “Errare è umano”. Ciò significa che l’essere umano ha il diritto di poter fallire, in altre parole che sono concesse variazioni di percorso, cioè che è possibile riscattarsi. Credo che ciò che è iniziato “nel nome di Dio” può essere dichiarato errato “nel nome” dello stesso “Dio”. La separazione può realizzarsi pienamente soltanto quando le due persone coinvolte possono dire: «Sì, abbiamo amato ma non siamo stati capaci di costruire a partire da questo amore. O Dio, aiutaci a smettere di litigare l’uno con l’altra. Dacci la forza di poter prendere la migliore decisione per ristabilire la pace!».

La separazione è esperienza sconvolgente e dolorosa ma allo stesso tempo creativa perché essa può portare ad  una nuova nascita. Dopo molto tempo, durante il quale i due coniugi si sentivano persi in una relazione labirinto, finalmente trovano la via d’uscita. Il divorzio porta però i coniugi a rinchiudersi in una sorta di deserto dal quale è difficile uscire poiché rimane sempre un resto di incertezza: «È giusto? Ho fatto tutti i tentativi per non arrivare a questa difficile decisione? Qual è la mia colpa per il fallimento del nostro matrimonio? Qual è il prezzo da pagare per la mia libertà?».

Il primo passo verso la guarigione sarebbe quello di cercare di rimanere in piedi nel dolore, nella solitudine, nelle paure, nel riconoscimento delle proprie colpe, nell’esperienza del fallimento di un progetto di vita. Semmai dovessimo pensare che questo è difficile, ricordiamo il Salmo 31 dove di fronte alle minacce, alla mancanza di prospettiva e di speranza è riconosciuta la presenza di Dio come colui che ci mette in piedi in un luogo favorevole. Finché si rimane in piedi possiamo condividere liberamente la nostra sofferenza con gli/le altri/e e accettare in modo costruttivo il loro sostegno.

Il secondo passo da compiere è quello di perdonare noi stessi e il nostro coniuge. Soltanto perdonandolo possiamo diventare completamente liberi per percorrere una strada decisamente nuova.

Ci si libera da un legame passato per una nuova vita accanto ad altre persone con le quali si riesce a raccontare la propria storia senza provare troppo dolore. Quando riusciremo a liberarci, perdonando, allora le ombre del passato non avranno più forza di tormentarci e saremo capaci di vivere insieme ai nostri ricordi. L’autoperdono e il perdono del nostro coniuge ci porteranno un cuore nuovo e uno spirito nuovo (Ezechiele 11, 19-20).

Il terzo passo è quello di riavvicinarti a Dio trino. Caro fratello, cara sorella, permetti a Dio di liberarti in Gesù Cristo dai dubbi e dalle paure per il tuo futuro. Ospitalo nella tua mente, nel tuo corpo, nel tuo cuore, come Colui che è venuto a liberarti per vivere la libertà dei figli e delle figlie di Dio. Non ti spaventare, resta alla presenza di Dio, e chiedigli di darti la forza e il coraggio di andare avanti. Affidati alla parola di Dio e lascia che abbia cura di te e ti sostenga con il suo amore, con la sua presenza in questa via, consapevole che Dio ti accompagna nel tempo del lamento e nel tempo della gioia.

Ricordati della promessa di Dio a Sion: “L’Eterno infatti sta per consolare Sion, consolerà tutte le sue rovine, renderà il suo deserto come l’Eden e la sua solitudine come il giardino dell’Eterno. Gioia ed allegrezza si troveranno in lei, ringraziamento e suono di canti.” (Isaia 51, 3). Il conforto di Dio si manifesta nell’accompagnarti e nel darti la forza di ricominciare in un luogo favorevole.

Il Signore camminerà a fianco a te anche quando il tuo camminare non sarà più tortuoso e ritornerà diritto. Egli condividerà con te il tuo pensiero più profondo d’avere diritto di vivere e di avere diritto alla pace. Egli ti aiuterà anche a ritrovare la gioia e l’allegria di metterti nuovamente al suo servizio e divenire fonte di speranza e una presenza feconda di vita per coloro che si dividono nella ricerca dello Shalom.