di Gabriela Lio*
C’è chi dice che la chiesa debba occuparsi solo di salvare le anime e che dentro di essa non vi siano altri bisogni spirituali e materiali, e che si faccia fatica nel rapportarsi con persone che sono diverse da sé per cultura, per genere, per status sociale. C’è ancora chi dice che la chiesa è troppo impegnata in mille iniziative sociali o che non possiede le competenze necessarie per cambiare alcunché, e c’è, poi, chi dice semplicemente che qualcosa non va se l’essere chiesa ci conduce a fuggire dalla realtà, e se qualsiasi cambiamento viene visto come appello alle emozioni, come spiritualismo disincarnato o ritualismo religioso.
Noi crediamo piuttosto che qualcosa non va, nel nostro essere chiesa, se il nostro modo di pensare, sentire e agire non è coerente con Gesù Cristo, quale modello per una nuova umanità liberata, e se non ci facciamo contagiare dalla passione per la realizzazione del suo progetto storico, che è il regno di Dio, divenendo, così, chiesa per gli/le altri/e e con gli altri/e, ponendoci in questo modo alla ricerca dei sentieri verso una missione integrale.
È di grande importanza che la comunità recuperi il sacerdozio universale dei credenti, affinché questi ultimi possano, incoraggiandosi reciprocamente, scoprire e valorizzare i doni che hanno ricevuto, così da poterli condividere, attraverso i diversi ministeri, con tutti i membri di chiesa e con il contesto sociale che li circonda. Sempre partendo da un’azione condivisa, la comunità è chiamata a nutrirsi della lettura della Parola di Dio, attraverso un approccio comunitario che aiuti a considerare il proprio contesto in tutta la sua ricchezza, così come la sua correlazione con il contesto biblico: è ciò che il teologo Karl Barth chiamava «avere la Bibbia in una mano e il giornale nell’altra», in un sapere e un capire che potrà segnalare il cammino da percorrere per vivere il discepolato cristiano entrando in contatto con la realtà del nostro contesto sofferente, costringendoci a nuove domande e prospettive e operando anche come ascolto attivo dello Spirito di Dio.
La visione per il futuro nel campo della missione è quella, dunque, di una chiesa in quanto comunità che confessa Gesù Cristo come Signore e che vive alla luce di questa confessione a tal punto che in essa si percepisce il tentativo sempre presente di dare inizio a una nuova umanità. Una chiesa che valorizza i doni e i ministeri come mezzi che lo Spirito di Dio adopera per svolgere la sua vocazione, come collaboratori/trici di Dio nel mondo. Una chiesa che, come Gesù, connota e anima il discepolato attraverso l’amore.
Come comunità di fede noi riteniamo che formare discepoli/e con questo profilo sia un obiettivo affine all’Evangelo. Ciò implica, però, un continuo processo di apprendimento, confronto e preghiera da parte di tutta la chiesa; processo che, manifestandosi in maniera olistica – negli studi biblici, nella liturgia, nell’ecclesiologia, nelle scuole domenicali, nella capacità d’ascolto, nell’impegno e nella partecipazione sociale – metterà le nostre chiese nella condizione di concentrarsi su quei progetti che sono coerenti con i doni che possiedono e con le necessità comunitarie del contesto nel quale esse sono inserite.
Per questo si intravede la necessità di fare una reinterpretazione dell’essere e del fare della chiesa che toccherà anche il suo modo di agire e vivere la missione, nella consapevolezza che Gesù, predicando il Regno, ci presenta la redenzione della totalità dell’essere umano e, quindi, ci rimanda a una visione olistica, proprio quella che segnò la natura stessa del ministero di Cristo.
Il Dipartimento di Evangelizzazione dell’Unione cristiana evangelica battista d’Italia (Ucebi), oltre alle attività in atto, è impegnato a promuovere delle iniziative tese a focalizzare le questioni su descritte per comprendere le necessità delle comunità locali e produrre dei cambiamenti a favore del Regno, aggregando altri/e nel cammino del discepolato di uguali. Un processo che prepara le chiese a partecipare in forma attiva alla vita dei quartieri, dei paesi, delle città cercando l’adesione piena dei suoi membri, pronti all’ascolto delle necessità della collettività locale affinché manifestino l’amore di Dio e generino un rinnovamento positivo, duraturo e reale.
Si tratta di un processo e non di un «pacchetto chiuso» che deve essere flessibile e adattabile alle necessità di ciascuna comunità, perché ogni chiesa e ogni collettività intorno a essa sono uniche. Come dice Nancy Bedford: «Il processo di discernimento per chi desidera incontrare sentieri per la missione integrale è una pratica trinitaria: la ruah/spirito/sapienza che guida la comunità di coloro che cercano di discernere non è uno spirito d’ambizione e di potere bensì è lo spirito del Figlio incarnato, che ha mostrato concretamente nella storia come si fa a resistere al male e a vivere nella giustizia».
* segretaria del Dipartimento di evangelizzazione – Ucebi