di Ivano De Gasperis
In ambito ecumenico, quando si pensa all’identità delle chiese battiste, per i più è immediata l’associazione col battesimo dei credenti adulti; ma se alcuni, curiosi di conoscere il pensiero delle chiese battiste in merito al battesimo e alla Santa Cena, prendessero in mano la Confessione di fede dell’Unione Cristiana Evangelica Battista d’Italia, dovrebbero inoltrarsi sino all’articolo 9 per giungere a leggere del battesimo e all’articolo 10 per imbattersi nella Cena del Signore.
Se invece l’attenzione di questi studiosi si rivolgesse a più antiche e rappresentative confessioni del battismo, come è ad esempio la Second London Baptist Confession (1689), l’attesa risulterebbe ancora più lunga; infatti gli articoli sul battesimo e la Cena del Signore si collocano pressappoco alla fine di questi importanti documenti.
Non solo la posizione all’interno delle Confessioni, ma anche l’estensione degli articoli su battesimo e Cena del Signore potrebbe deludere i nostri diligenti ricercatori…
Infatti, a dispetto del nome che portano, i battisti non si sono primariamente concentrati sulla produzione di opere teologiche concernenti il battesimo in quanto tale, né, tantomeno, hanno fatto dei sacramenti il fulcro del loro interesse. La vera passione dei battisti è altra e la si può facilmente comprendere se si ha la pazienza di scavare un poco nella loro tormentata storia.
I battisti nascono in un’epoca di profonda delusione nei confronti della chiesa istituzionale che, nel contesto dell’Inghilterra del XVII secolo, non è cattolica, ma anglicana.
Agli occhi dei primi aderenti al movimento la cosiddetta estabished Church appare come una chiesa troppo distante dall’ideale apostolico, collusa col potere della Corona; una chiesa che dispone di tribunali e di carceri, dove condannare coloro che, al pari dei battisti, desiderano una sua Riforma radicale.
In un mondo dove trono e altare si confondono e coloro che celebrano i sacramenti somigliano, in tutto e per tutto, ai miscredenti, diventa necessario trovare uno strumento utile a ridefinire la Chiesa.
I Battisti individuano tale strumento in una ritrovata disciplina battesimale, sul cui fondamento ricostituire la Chiesa come «comunità di santi» (questa espressione non è da intendersi come pretesa superiorità morale dei battisti, quanto piuttosto quale irrinunciabile nota Ecclesiae, ovvero qualifica spirituale della vera Chiesa di Cristo). È evidente che, anche quando riflettono sul battesimo e sulla Santa Cena, l’interesse dei battisti non è sacramentale, ma ecclesiologico.
Certamente i battisti elaborano un loro discorso battesimale biblicamente ben radicato, ma potremmo aggiungere che, per essi, il problema vero non è il «come» quanto il «chi» del sacramento e, con una brutale operazione di semplificazione, impostare tale questione nella forma di una domanda e di una risposta che per i battisti risultano fondanti.
Domanda: «Tutti, indiscriminatamente, debbono scendere nelle acque battesimali e spezzare il pane?».
Risposta: «Non tutti indiscriminatamente, ma tutti coloro che rispondono all’Evangelo con fede, confessando Gesù quale personale Signore e Salvatore».
Con ciò non viene evidenziato un nuovo significato teologico della Cena o del battesimo – che nella sua essenza corrisponde a quello riformato – ma un criterio per l’individuazione dei destinatari a cui si applicano questi ordinamenti.
L’eco di questo criterio – dato dalla fede personale – è ancora chiaramente rintracciabile nell’attuale Confessione di fede dell’Unione cristiana evangelica battista d’Italia (Ucebi). Invertendo un celebre motto, possiamo dire che, nel battismo, il battesimo e la Santa Cena rappresentano culmen et fons (culmine e fonte) di una realtà già presente nel cuore del discepolo: la realtà della fede che, nell’obbedienza al Maestro, diventa una sorgente inarrestabile, che scaturisce in vita eterna…
Sono trascorsi quattro secoli dalla nascita di questo fecondo movimento e il suo impatto sull’ecumene è difficilmente minimizzabile. A oggi la pratica del battesimo per immersione dei credenti adulti non è più una «peculiarità» battista, ma è divenuta un patrimonio comune a gran parte delle chiese evangeliche.
Nel nostro Paese ci accingiamo a festeggiare un secolo e mezzo di presenza battista, eppure questa particolare attenzione alla fede personale continua a rendere il rapporto liturgico con il sacramento molto vivo e dinamico.
Il momento della celebrazione del battesimo nella chiesa battista è sovente accompagnato da vibranti e coinvolgenti narrazioni della propria esperienza di conversione. Il calore familiare che si percepisce quando si spezza il pane e si beve il vino insieme a fratelli e sorelle, di cui si conosce l’itinerario spirituale, è qualcosa che tocca il cuore e apre una luce calda di comunione. Un vecchio inno che bene rappresenta il culto battista recita così: «È la mia storia è la mia fe’, tutta la gloria al Cristo mio Re». Non è negli elementi esteriori, ma è nell’autenticità della predicazione, delle relazioni stabilite e della fede espressa da chi partecipa alla celebrazione che sta il cardine di tutto il discorso battista. Ricordo ancora con grande commozione alcuni recenti battesimi celebrati presso il mare di Ostia, dove la potenza delle testimonianze di fede ha trasformato la spiaggia in una vera e propria chiesa a cielo aperto. Posso garantire che assistere al miracolo di quelle nuove nascite non è diverso dall’assistere a vere e proprie risurrezioni o alla guarigione dei ciechi… Ripenso con emozione alle Cene del Signore celebrate nel contesto dell’agápe comunitaria, piuttosto che all’aperto, nel parco della missione dove usiamo evangelizzare; lì abbiamo bevuto da un unico calice assieme alle persone che hanno accolto commosse la Parola della Grazia.
Non c’è nulla di eclatante nel gesto della Cena del Signore o del battesimo in sè, eppure, proprio per questo, essi sono atti di una fede veramente rivoluzionaria. In fondo l’istituzione battesimale dal punto di vista materiale non differisce da un semplice bagno, come la Cena non sembrerebbe molto diversa da un pasto ordinario, ma è esattamente questa semplicità a rivelare la prossimità straordinaria di quel Dio che si è fatto carne, per incontrarci non solo all’interno di uno spazio liturgico definito, ma ogni giorno anche nella quotidianità delle nostre vite.