di Domenico Tomasetto
Le Chiese battiste non hanno avuto una teologia ben definita fin dalle loro origini, ma sono il prodotto di continue elaborazioni, determinate dalle situazioni storiche e teologiche, che hanno portato ad una definizione sempre più chiara della propria identità confessionale. Solo al termine del percorso si forma il quadro completo.
Tutto comincia in Inghilterra nel corso del XVI secolo: Enrico VIII, per sciogliere il suo matrimonio, litiga con il papa, si divide da Roma, istituisce la Chiesa anglicana e stabilisce che «Sua maestà il re è l’unico capo supremo della Chiesa d’Inghilterra». Il sovrano (re o regina) sul trono nominava arcivescovo e vescovi e decideva teologia e liturgia della chiesa anglicana. Nel frattempo l’Inghilterra (via Scozia e Francia) era stata raggiunta dai calvinisti, che non condividevano affatto questa impostazione, né accettavano una partecipazione formale dei credenti: si adoperavano per una chiesa costituita da puri cristiani impegnati (da qui «puritani»). Questo gruppo era costituito da movimenti diversi, che non accettavano che il sovrano decidesse in materia di fede per tutti gli inglesi del regno. Molti si separarono dalla Chiesa d’Inghilterra, rivendicando la libertà religiosa e negando al re e allo Stato il potere di decidere su questioni interne alle loro chiese. Questo è il principio del separatismo, che ritroveremo anche nei futuri battisti.
Fra i puritani si svilupparono due linee ecclesiologiche: da una parte la struttura nazionale, dall’altra la centralità della singola comunità locale («congregation»). Da qui il congregazionalismo. Quest’ultima posizione, nel valorizzare l’autonomia e l’indipendenza, isolava le singole comunità l’una dall’altra. Per evitare questo pericolo alcune chiese instaurarono collegamenti fraterni (Associazioni o Unioni territoriali di chiese). Abbiamo un congregazionalismo rigoroso e uno «temperato»: due tesi ecclesiologiche presenti ancora oggi fra i battisti.
La domanda che aspettava ancora una risposta era: come avere una comunità di credenti rinnovati? Le risposte del tempo partivano dalla tesi della predestinazione. I santi erano i predestinati, gli eletti: una chiesa di soli eletti era, in quanto tale, una chiesa di santi. Questa tesi dava una grande fiducia di essere nelle mani del Signore ed esigeva una grande responsabilità dai singoli. Ma non sempre questo si traduceva in un rinnovamento della vita dei credenti. L’altra tesi prevedeva che gli effetti della croce di Cristo fossero rivolti a tutti gli uomini, e che il singolo dovesse partecipare alla sua salvezza (arminianesimo). La prima tesi caratterizzò i battisti particolari, la seconda i battisti generali. Prese allora vigore la discussione sul battesimo, in quanto il «pedobattismo» non sembrava costituire la base per una chiesa di santi.
Il battesimo allora praticato era amministrato ai bambini e per aspersione. Gli Anabattisti lo rifiutarono, esigendo una previa confessione di fede personale. Cominciarono a battezzare i credenti (adulti, quindi «ri-battezzare»), per affusione.
Fra continui sconvolgimenti storici ed elaborazioni teologiche, gli anni 1596-1614 ci forniscono i primi testi di quei gruppi (separatisti e proto-battisti) dai quali emergeranno i futuri battisti (1596, The True Confession, separatista; 1609, Short Confession of faith in XX Articles, di J. Smyth; 1610, A Short Confession of Faith, di J. Smyth e altri 43; A Declaration of Faith of English People Remaining at Amsterdam, 1611, T. Helwys e il suo gruppo; 1612-14, Prepositions and Conclusions, la chiesa di J. Smyth). In questi gruppi si pratica ancora il battesimo per affusione dei credenti (adulti), e si afferma la distinzione tipica della Riforma fra chiesa universale e chiesa locale e il loro rapporto. Questa linea ecclesiologica si ritrova nelle successive confessioni di fede battiste.
Dopo il 1614 ci sono testi confessionali di singoli gruppi o personalità, che non hanno assunto valenza più vasta. Ma nel 1644 viene pubblicata la prima London Confession (da sette chiese battiste particolari di Londra, con alcuni separatisti del 1596). Queste chiese avevano fatto chiarezza sul battesimo e definito la loro concezione: praticano il battesimo dei credenti, per immersione completa nell’acqua fin dal 1641, sulla base della confessione di fede. Il battesimo comporta l’incorporazione del credente in Cristo, con la conseguente morte al peccato e il rinnovamento della vita. Così il credente diventa membro della chiesa. Finalmente sono nati i battisti, che usano per la prima volta questo nome (per distinguersi dagli Anabattisti, con i quali venivano identificati, e dai battisti generali). Il risultato era una chiesa formata da santi, rinnovati sulla base di un impegno di fede personale. Questi battisti hanno collegato l’elezione divina con la risposta consapevole del singolo credente.
A questo punto si posero altre domande: dovevano predicare soltanto i ministri laureati e ordinati, o anche predicatori laici riconosciuti dalla Chiesa? Si dovevano accettare come membri di chiesa soltanto i battezzati da credenti, oppure anche altri credenti sulla base della comune confessione di fede cristiana? Potevano prendere parte alla Cena del Signore soltanto i battezzati da credenti, oppure anche gli altri credenti? Sembrano domande di oggi. Le risposte furono elaborate nella Second London Confession, (1677, battisti particolari), basata sulla Westminster Confession (1646, presbiteriana), e parallela alla Savoy Declaration (1658, congregazionalista) e al The Oxford Creed, (1678, battisti generali). Su questa base i battisti furono ricompresi nell’«Atto di tolleranza» del 1689: il periodo del non-conformismo e dei «dissenters» è terminato; ora sono una chiesa libera riconosciuta dal Parlamento inglese. Le due confessioni del 1644 e del 1677 (che richiama le tesi calviniste e più volte rivista fino al 1809), costituiscono i documenti fondanti l’identità battista.
P.S. Per chiarezza storica e lucidità teologica segnalo l’articolo di Paolo Spanu, Il contributo dei battisti nella concezione della chiesa, GE, n. 66, dicembre 1980, pp. 5-8.