di Cristina Arcidiacono
10 Gesù stava insegnando di sabato in una sinagoga. 11 Ecco una donna, che da diciotto anni aveva uno spirito che la rendeva inferma, ed era tutta curva e assolutamente incapace di raddrizzarsi. 12 Gesù, vedutala, la chiamò a sé e le disse: «Donna, tu sei liberata dalla tua infermità». 13 Pose le mani su di lei, e nello stesso momento ella fu raddrizzata e glorificava Dio. 14 Or il capo della sinagoga, indignato che Gesù avesse fatto una guarigione di sabato, disse alla folla: «Ci sono sei giorni nei quali si deve lavorare; venite dunque in quelli a farvi guarire, e non in giorno di sabato». 15 Ma il Signore gli rispose: «Ipocriti, ciascuno di voi non scioglie, di sabato, il suo bue o il suo asino dalla mangiatoia per condurlo a bere? 16 E questa, che è figlia di Abraamo, e che Satana aveva tenuto legata per ben diciotto anni, non doveva essere sciolta da questo legame in giorno di sabato?»
Luca 13, 10-16
Gesù viene. Gesù, il Re la cui venuta attendiamo, viene in mezzo a noi, proprio nel mezzo delle vite rassegnate, incancrenite, resistenti ai cambiamenti: Gesù viene e vede. Vede i lacci che impediscono di essere ciò che si è, vede l’incapacità di restare integre nelle relazioni, vede l’oppressione, gli steccati, i pregiudizi, le ipocrisie. Gesù guarisce. Gesù guarisce in giorno di sabato, festivo, giorno della creazione: stare rette davanti al Signore è vivere il sabato della grazia. Era di sabato. Andai in sinagoga. Da troppo tempo condividevo il posto degli emarginati, diciotto anni sono una vita che andrebbe vissuta diversamente che con la faccia costantemente piegata verso terra. In sinagoga insegnano, posso mettermi in disparte, forse un’eco della voce di chi sta parlando giungerà anche a me. Ho bisogno di andarci, posso stare con il mio Dio, posso pregare, per cosa non lo so più, vorrei tornare a vivere, ma la preghiera, si sa, a volte è solo udita e l’esaudimento non ci appartiene. Chissà quali erano i pensieri di questa donna anonima, che si reca in sinagoga, o che sta là, chissà da quanto tempo, fino al momento in cui Gesù non la vede. La donna è il secondo personaggio che viene presentato dal nostro testo: il v. 10 mostra la scena in cui il protagonista è Gesù stesso che insegna in sinagoga, come Luca lo rappresenta diverse volte. Il sabato è proprio il giorno dell’adorazione e dell’insegnamento e Gesù, da ebreo osservante del suo tempo, è al posto giusto e sta facendo la cosa giusta. Come era successo al capitolo 6, in cui Gesù “vede” la sofferenza della vedova di Nain per la morte di suo figlio, così qui Gesù vede il peso di questa donna, la sua impossibilità di stare dritta. Come per l’episodio della vedova di Nain, Gesù attraversa confini che sembrerebbe non poter attraversare: entrare in contatto con la malattia (al cap 6 era la morte), in giorno festivo, dove tutti i lavori erano proibiti perché l’unica attività doveva essere l’adorazione del Signore. Questo testo parla non tanto dell’attitudine della donna, che, tutto sommato resta “passiva”, è chiamata, è guarita, resta silenziosa, quanto del fatto è l’incontro con Dio in Cristo che mette in piedi, che solleva, che scioglie. E questo è ciò che rende festivo il giorno del Signore, la sua presenza è una presenza che trasforma la vita. Se non è così non è Dio che ho incontrato. La polemica con il capo della sinagoga è fortemente teologica: il conflitto non sta tanto nell’andare oltre il sabato. La polemica sul sabato, che Luca ha già affrontato proprio al capitolo 6, lo stesso dell’episodio della vedova, non sta tanto nel superamento della Legge, quanto nel ristabilire la sua integrità alla luce della grazia di Dio. La tensione tra i termini del “legare” e dello “sciogliere” riporta alle parole che Gesù utilizza nel vangelo di Matteo 16,19 con i discepoli, in una frase perlomeno enigmatica che è stata interpretata in molti modi nel corso dei secoli: «Tutto ciò che legherai in terra sarà
legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai in terra sarà sciolto nei cieli». Legare e sciogliere sono termini che fanno parte di un’espressione rabbinica che intende l’«avere l’autorità di imporre o togliere un obbligo». Vi è un uso documentato, anche se raro, che associa a questo il dare o il togliere il bando, escludere dalla comunità o accogliere nuovamente in essa. Come a Pietro e ai discepoli Gesù sta parlando della responsabilità delle relazioni in Cristo, dell’importanza dell’inclusione e dell’irreversibilità di certe azioni che possono far morire delle relazioni; così, in sinagoga, mette di fronte al teologo il peso e l’abuso dell’uso di questa autorità, ricorrendo proprio ai termini del legare e dello sciogliere. Gesù mette in guardia gli uomini e le donne di chiesa, che osservano il giorno del Signore, che si recano nel luogo di culto per lodare, pregare, ascoltare la predicazione, dal fatto che tutto ciò non è slegato dalla vita quotidiana, che la sfera spirituale non può essere separata da quella “feriale”, ma che la vita di ciascuno e ciascuna trova il suo senso proprio nella chiamata di Cristo che rialza. Nella sfera personale, individuale, infatti, il legare e lo sciogliere sono permessi e non ci si pone troppe domande; il tempo, la voglia, la necessità di esercitare il nostro potere paiono leciti. Quando a essere sciolta, quando la guarigione, il perdono, l’accoglienza, riguardano altro da me, faccio valere tutte le normative che possono separarmene. Il teologo, custode del sacro, mette Gesù e la sua azione nella sfera lavorativa: non si guarisce e non ci si fa guarire in giorno di sabato, tende a dare una interpretazione riduttiva del sabato stesso. Gesù, invece, risitua le relazioni con le altre e gli altri nell’ambito della relazione con Dio. La mia vita alla luce dell’annuncio dell’evangelo è festiva, è parte della nuova creazione inaugurata da Dio che viene in Gesù Cristo. La donna, slegata dalla sua infermità viene detta “Figlia di Abramo”. Lo era anche quando era curva, e per questo Gesù interviene. Il rimando ad Abramo riporta ad altri lacci e ad un’altra liberazione. Anche Abramo fu chiamato a slegare un figlio, Isacco, sul monte Moria. Nella tradizione ebraica quell’episodio è chiamato “aqedà”, legamento. Attraverso la storia della richiesta e poi della liberazione di Isacco non è sottolineata tanto la fedeltà di Abramo, ma l’immagine divina: il vero Dio è quello che scioglie le funi che legano. È quello che rialza chi è oppresso. È bello che protagonista di questo “legamento”, dopo Isacco sia una donna, anonima – affinché tutte si sentano chiamate – la cui identità è libertà in Cristo, è integrità di corpo e di spirito insieme, è la possibilità di stare dritte, rette, davanti a Dio e davanti agli altri esseri umani. In gioco qui non sono tanto le istruzioni su come agire da persone libere, che esercitano un’etica della responsabilità, ma il volto autentico di Gesù che viene, figlio di Davide e figlio di Dio. Se è lui che ci ha chiamati, che ci chiama, quando non pensavamo neanche di incontrarlo, quando i pesi ci fanno camminare a testa bassa, allora viviamo il sabato della sua grazia, allora, come le persone che erano in sinagoga, la nostra vita diventa la lode a Dio, l’annuncio di ciò che ha fatto per ciascuno e ciascuna, diventa il sabato, la domenica della grazia. E allora anche il mio modo di vivere la domenica cambia. Non vado in chiesa per ottemperare a un obbligo o “solo” per sentire un buon sermone, a volte, o per cantare: certo, questo e tanto altro sono cose bellissime, ma le mie aspettative devono essere più alte. Quante volte mi reco al culto per incontrare Dio e non vedo Gesù che mi chiama e mi restituisce integra a me stessa, ma esco con gli stessi pesi con i quali sono entrata, non vedendo neanche gli altri e le altre che sono venute con me e come me? Gesù che viene, vede, chiama, guarisce, è il Signore che mi incontra. Qualcosa è cambiato, Dio mi ha guarita, posso stare a schiena dritta e vedere come Gesù ha visto me e ha avuto pietà, amore verso il mio dolore e mi ha sollevata da esso. Posso incontrare, vedere, accogliere, guarire. Preparare la via al Signore che viene, testimoniarlo, cantarne le lodi. Se continuo a sentirmi piegata, se ho dimenticato che Gesù mi ha sollevata, se le incombenze feriali mi impediscono di vivere dritta davanti al Signore, mi legano, allora non è sabato ancora per me, i legami da sciogliere sono quelli del mio bue e del mio asino e ho bisogno che Gesù ancora, mi veda, mi chiami e mi rialzi. E il Signore è fedele e farà anche questo. Amen