Testimone_11_1

di Nella Righetti 

La richiesta di scrivere questa testimonianza mi ha messo in crisi. Cercherò di fare del mio meglio. Mi chiamo Marta Centola, ma in molti mi conoscono come Nella Righetti. Nella famiglia di mio padre, di origine pugliese, tutte le femmine portavano il nome della nonna paterna Marta. Ad un certo punto, abitando tutti nello stesso posto, c’era una grande confusione, per cui la prima nipote si chiamava Marta, la seconda Tina e poi sono arrivata io e, non so come, mi hanno chiamato Nella.

Per me la chiamata al discepolato non è stata una cosa improvvisa e fulminante ma il Signore mi ha presa per mano e a piccoli, piccolissimi passi, durante tutta la vita mi ha condotto, anzi mi condu- ce verso il traguardo che ancora non ho raggiunto.

Nasco nel 1931 in piena crisi economica in una famiglia di credenti che a causa delle scelte politiche dei miei genitori, versava in condizioni economiche molto modeste. Ho due fratelli maggiori che le guer- re di Mussolini hanno sempre tenuto sotto le armi. Mio padre rifiuta la tessera del Partito e per questo perde il lavoro in Ferrovia. Nel 1938 con l’emanazio- ne delle leggi razziali mio padre da antifascista «dor- miente» passa alla clandestinità. Sono sicura che è la sua fede cristiana che lo spinge a questa scelta. Durante gli anni dell’occupazione nazista ospitiamo in casa molti ebrei. All’ingresso di casa mia c’era, e c’è tuttora – secondo l’abitudine dei protestanti di allora – un versetto inquadrato che dice: «Quanto a me e alla mia casa, serviremo all’Eterno» (Giosuè 24, 15). La mia famiglia non è ricca, ma alla nostra tavola c’è sempre posto per qualche ospite bisogno- so d’aiuto.

Un certo giorno, un gruppo di soldati italiani della cavalleria, fatti prigionieri, transitavano lungo Corso Vinzaglio diretti alla stazione per essere porta- ti in Germania. Ad un certo punto qualcuno ha spa- rato una raffica di mitra, i cavalli si sono sparpagliati, c’è stato un parapiglia e uno di questi ragazzi si è nascosto nel portone di casa nostra. È stato raccolto dalla mia famiglia ed è rimasto con noi fino alla fine della guerra. Peppino il calabrese, così lo chiamava- mo, rimase con noi circa 20 mesi, dall’inverno del ‘43 fino alla fine del ‘45. Questa è l’atmosfera dove trascorro i primi anni della mia vita.

Poi arriva il tempo della Scuola Domenicale ed in seguito quello dell’Unione giovanile e delle Corali. Sono gli anni della mia formazione, della discussione libera e appassionata. È il tempo del mio incontro con Paolo, un giovane della chiesa, che diventerà mio marito. Ho un matrimonio molto felice: con Paolo condivido molti interessi e la passione per la vita della comunità. Arriviamo soprattutto a condi- videre con i fratelli e le sorelle della nostra genera- zione momenti di gioia e d’allegria. La nostra casa è sempre aperta alle giovani coppie della nostra chiesa per momenti di fraterna e gioiosa amici- zia. Ricostruiamo a questo scopo una vecchia casa in montagna dove organizzare gite della Scuola Domenicale e dove riunire gruppi di amici. Ricordo quella volta in cui arrivarono degli amici che porta- rono a loro volta degli altri amici. A fine giornata, io e Paolo eravamo sulla porta per salutare gli amici, ed una signora mi guarda e mi dice: «Ah, ma è lei la padrona di casa!».

Arrivano gli anni di Villa Grazialma: la casa di riposo di Avigliana: una meravigliosa esperienza che Paolo ed io condividiamo insieme. Il Signore ci con- cede una vita serena. Il nostro matrimonio è molto felice anche se non abbiamo potuto avere figli. Questo è stato un grande dolore per entrambi, ma in seguito quando i miei genitori e la mamma di Paolo si sono ammalati, noi abbiamo potuto assisterli con premura perché non avevamo altri impegni famiglia

ri. Capimmo allora perché il Signore non ci aveva concesso dei bambini: aveva altro in serbo per noi.

Passano anni sereni, quan- do arriva un colpo terribile: Paolo muore improvvisamente. È per me una prova spaventosa. Ma in quei mesi di grande dolore, sento la voce del Signore che parla al mio cuore. Non mi era mai capitato prima, ma è proprio allora ho capito che tutto quello che avevo imparato fin dai tempi della Scuola Domenicale, leggendo la Bibbia e ascoltando le predicazioni mi avevano prepara- to ad affrontare quella prova. Nel momento in cui la mia disperazio- ne ha raggiunto il culmine, il mio Signore risponde al mio grido d’aiu- to dicendo: “guardati attorno e avrai la risposta”. In quel momento ho capito che la risposta era il lavoro che già facevo a Villa Grazialma e che negli anni seguenti mi ha soste- nuto e dato coraggio per superare il mio dolore. Il lavoro con gli anzia- ni riserva delle sorprese. Ricordo la signorina Elisa Ravazzini che era in camera con una donna molto depressa; Elisa, pur essendo allet- tata, è riuscita – facendola leggere, chiacchierando – a farla diventare quasi socievole.

Sono ormai anziana, eppure mi rendo conto che ho sempre biso- gno dell’aiuto del Padre perché la mia testimonianza non si è ancora conclusa.