di Debbie Kelsey*
Non avrei mai immaginato che mi sarei occupata del problema della tratta per lo sfruttamento sessuale.
Fino a sei anni fa non ne sapevo nien- te. Sono cresciuta in una comunità tradizionalista. I miei genitori mi hanno insegnato ad andare nei luoghi sicuri. Non era un mio obiettivo impegnarmi con le donne vittime della prostituzione, ma una collega mi invitò ad accompagnarla ad Amsterdam nella famosa zona a luci rosse dove si svolgeva un progetto cristiano.
Quella notte, dentro una piccola camera che aveva spazio solo per un letto, una tenda rossa ed uno sgabello su cui la donna si sedeva ad aspettare i clienti, ci tenevamo per mano con una donna afri- cana e pregavamo. Si chiamava Blessing (vuol dire “Benedizione”).
Blessing era chiaramente contenta di essere vista come una donna di valore per quei pochi minu- ti e accettò il volantino con il numero telefonico del progetto.
Tornando nella mia città in Belgio, mi sono resa conto che tante ragazze e donne lavoravano a soli 10 minuti da casa mia nella zona a luci rosse. Cominciai a sentire la necessità di prendere contatto con que- ste donne ed offrire loro amicizia, un servizio di ascolto e la consulenza pastorale.
Non tutte le donne volevano parlarmi. Alcune aprivano la porta solo quando portavo un piccolo regalo… una rosa per il giorno della mamma (tante di loro avevano figli/e), cioccolata, un segnalibro adatto per la Pasqua, un succo d’arancia ghiacciato nei giorni caldissimi dell’estate. Altre invece mi invi- tavano dentro le loro abitazioni a pregare e parlare.
Qui in Italia sto continuando ad affrontare la tratta e lo sfruttamento sessuale, sapendo che quelle donne sono donne come me. Hanno delle espe- rienze molto piú brutte delle mie, ma non sono «cause perse», come vengono definite da alcuni. Sono persone fatte ad immagine di Dio.
Il ministero con le vittime della tratta è al cuore della missione per la quale Gesù è venuto, come proclamato in Luca 4, 18-21: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; perciò mi ha unto per evangelizzare i poveri; mi ha mandato ad annunziare la liberazione ai prigionieri, e ai ciechi il recupero della vista; a rimettere in libertà gli oppressi e a proclamare l’an- no accettevole del Signore».
Aiutare le vittime della tratta significa:
– portare la Buona Novella alle persone vulnera- bili a causa della povertà;
– annunciare la liberazione ai prigionieri i cui corpi vengono venduti giorno dopo giorno, notte dopo notte;
– aiutare i ciechi ad avere una visione per un futuro migliore;
– annunciare che Dio vuole benedire le sue figlie che sono a pezzi… che pensano di essere finite.
(…) In Italia, c’è un sistema esemplare per aiuta- re le vittime della tratta. Pochi lo sanno. L’incubo di essere senza documenti e di essere rimpatriate può finire quando una donna, che si trova in pericolo di vita a causa delle minacce del trafficante, cerca rifu- gio nelle associazioni o nelle forze dell’ordine o può collaborare con le forze dell’ordine per consegnare il trafficante alla giustizia.
Non è sempre facile per una donna scappare dalla prostituzione, anche conoscendo la possibi- lità della protezione sociale e di un programma di integrazione. Spesso il trafficante sa dove vive la famiglia nel Paese d’origine e minaccia di punire la famiglia se la donna tenta di uscire dal giro della prostituzione.
Tante donne nigeriane vengono costrette alla prostituzione per pagare un debito spesso contratto con la promessa di svolgere un altro tipo di lavoro in Europa. Il rituale voodoo, inoltre, contribuisce a
tenere le donne nigeriane in strada.
Come affrontiamo il problema della tratta?
1) Bisogna usare il buon senso e non mettersi in pericolo. Non si va in strada da sole ad affrontare i trafficanti, pensando di salvare una donna.
2) Stare in guardia nelle situazioni sospette. È spesso evidente quando una donna si sente in pericolo. Possiamo avvisare le forze dell’ordine di che cosa sospettiamo. Se la donna sta da sola e non viene sorvegliata, possiamo darle un volantino già preparato con il Numero Verde contro la Tratta, vali- do in tutta Italia (800 290 290).
3) Esistono dei gruppi che fanno «outreach» nelle strade. Ogni gruppo ha una propria maniera di lavorare. Come individui possiamo unirci ad un gruppo vicino a noi e collaborare nell’outreach o nelle case di accoglienza protette. Se non c’è un gruppo possiamo iniziarlo. Bisogna ricordare che tante vittime sono persone di fede e la fede può essere un punto di riferimento reciproco.
4) Quando viene detto «La prostituzione c’è sempre stata» bisogna chiedersi «Perché?». Finché ci saranno i clienti, ci saranno anche le donne che si prostituiscono (a parte le donne che lo scelgono), le donne vittime della tratta.
5) Che cosa diciamo dei clienti? Sono brutti? Sono maleducati? Sono ignoranti? Sono un terzo
degli uomini in Italia. I nostri vicini… I nostri fratelli… I nostri colleghi. Possiamo dire «Questo problema non è solo tuo. C’è la speranza che è più forte della vergogna. Si può riuscire ad avere relazioni sane. Cerchiamo la via insieme». Nutrire relazioni sane dentro le famiglie. L’industria sessuale è una fuga troppo conveniente per gli uomini che non si sen- tono a proprio agio per varie ragioni. Non diamo la colpa solo agli uomini, ma promuoviamo la comu- nicazione.
6) Ospitare un seminario sul tema della tratta nella vostra chiesa o comunità. Sono disponibile a parlare della tematica. Per contattarmi: jdkelsey@ hotmail.com
La tratta per sfruttamento sessuale non è un problema lontano da noi. Affrontandolo portiamo avanti la missione di Gesù. Le vittime ed i clienti hanno bisogno che ci siano delle persone che credo- no che la speranza ancora esista e che annunciano la libertà donata da Cristo.
*membro del Dipartimento Chiese Internazionali dell’Ucebi
La testimonianza è tratta dal dossier mono- grafico «Giornata europea contro la Tratta degli esseri umani, 18 ottobre 2010», a cura del Servizio Rifugiati e Migranti della Fcei