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a cura della redazione 

 

Al cuore della dottrina dei diritti umani c’è il concetto di dignità della persona. Il rispetto dei diritti umani significa tutelare la dignità di ogni essere umano. Ma cosa si intende per dignità umana?

La persona è un fine non un mezzo

Fu il filosofo Immanuel Kant nel La Fondazione della metafisica dei costumi (1875), a definire cosa significhi la dignità umana. Scrive Kant:

«Tutto ha un prezzo o una dignità. Ciò che ha un prezzo può essere sostituito con qualcosa d’altro a titolo equivalente; al contrario, ciò che è superiore a quel prezzo e che non ammette equivalenti, è ciò che ha una dignità. Ciò che permette che qualche cosa sia un fine in se stesso (…) ha un valore intrin- seco e cioè una dignità.

L’umanità è essa stessa una dignità: l’uomo non può essere trattato dall’uomo come un semplice mezzo, ma deve essere trattato sempre anche come un fine. In ciò consiste la sua dignità (…)».

La definizione di Kant ha fatto scuola: il valore di ogni uomo e di ogni donna è un fine in sé, ovvero nessuna persona può essere oggetto di scambio come un mezzo per altri fini.

Vali perché esisti

Da questo discende che non sono prima di tutto le azioni a determinare il valore di una persona, ma il fatto che sia un uomo o una donna. Abbiamo visto (cfr. Il Seminatore n. 1, anno 99, 2010) quali impli- cazioni questa affermazione abbia per l’abolizione della pena di morte.

Vangelo e i diritti umani

Scrive Antonio Cassese in I diritti umani oggi (Laterza, 2005): «La concezione kantiana traduce

in termini filosofici idee nobilissime già espresse nei vangeli, là dove Cristo esorta ad amare “il prossimo tuo come te stesso” (Matteo 22, 39) e cioè a considerare l’altro alla stregua del proprio io (…). Il mio io è il centro del mondo, ma così devo considerare anche l’altro: che diventa quindi soggetto da rispettare, proteggere, difendere, pro- iettare verso il mondo. Rispettare la dignità della persona significa dunque trattare l’altro come se fosse il mio io» (p. 56).

Inoltre Gesù dice:

…Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3, 16).

La dignità umana vale anche per me

La definizione di dignità della persona è valida non solo per la considerazione che io devo al mio prossimo, ma anche a me stesso, me stessa. Ogni persona è chiamata a considerare se stessa come un fine e non come un mezzo: «Kant ci chiede di rifiu- tare di asservirci a chiunque ci usi come uno stru- mento nelle sue mani» (A. Cassese, Ivi, p. 56). Da ciò consegue un diritto dovere a ribellarmi contro chi calpesta la mia dignità umana.

Il rispetto e la tutela della dignità della persona ha un valore maggiore rispetto alla volontà e all’interesse dei singoli. Così, nel caso in cui i singoli decidano autonomamente di rinunciare alla propria dignità è compito dello Stato tutelare quelle perso- ne anche contro il proprio volere.

Il concetto di dignità della persona deve infor- mare lo stesso ordinamento giuridico: «Kant impone di considerare disonorevole e immorale punire con pene disumane, contrarie alla sua dignità, il malva- gio che si sia macchiato di gravi crimini» (A. Cassese, Ivi, 57). Ma questo è ben lungi dall’essere un fatto universalmente valido.

Peggio ancora, in molti stati del mondo la violazione sistematica della dignità della persona è diventata una vera e propria arma contro la popola- zione civile.

Una storia 

Annie viveva serena. Aveva studiato, aveva un ottimo lavoro e viveva con il marito nella Repubblica Democratica del Congo.

Un giorno il marito dovette fuggire per mettere in salvo la pelle. Cinque soldati governativi, venuti a cercarlo, violentarono Annie e le dissero che sarebbero tornati ad ucciderla. Annie prese i suoi figli e se ne andò. Duranta la fuga fu fermata dai ribelli che la violentaro- no a loro volta usando anche delle bottiglie. Solo dopo molto, riuscì a raggiungere un campo profughi dove incontrò suo marito e visse in una casa di fango.

La storia di Annie è tragicamente comune. Lo stupro è diventato un’arma contro la popolazione civile. Nei 14 anni della guerra civile liberiana, il 40 per cento delle donne ha subito violenze. Molte, allontanate dalla propria comunità, sono costrette a prostitu- irsi e hanno contratto l’HIV/AIDS. Stupri sistematici, torture, schiavitù sessuale sono stati usati per terrorizzare e destabilizzare le comunità di tutto il mondo, da Haiti alla Repubblica Democratica del Congo a Myanmar. Durante la lunga e sanguinosa guerra civile in Sierra Leone, migliaia di donne e ragazze, talvolta bambine di appena sette anni, sono state rapi- te e ridotte in schiavitù per essere usate sessualmente o come combattenti, obbligate a uccidere.