«Siamo nati nel posto giusto e al momento giusto»: questo è il pensiero con il quale noi, che siamo nati nella parte più ricca del mondo, dovremmo svegliarci ogni mattina. Non possiamo negare che anche noi abbiamo i nostri problemi, le nostre ansie quotidiane, gli affanni che ci attanagliano, ma quando pensiamo a coloro che sono nati e vivono in quei paesi del mondo dove c’è fame, guerra, povertà, dovremmo imparare a ridimensionare le nostre esigenze.
Sono stata in Zimbabwe e quel viaggio è stato un’esperienza che mi ha insegnato tante cose.
Lo Zimbabwe è il paese che ha la più alta inflazione del mondo (nell’aprile ‘07 ha raggiunto il 2000%). L’Aids, la carenza di cure mediche, la malnutrizione e la nuova povertà, hanno fatto sì che l’Organizzazione mondiale per la sanità (OMS) lo annoverasse fra i paesi la cui prospettiva di vita è fra le più basse al mondo.
Penso che noi dobbiamo sentirci corresponsabili di questa situazione, in fin dei conti siamo tra le popolazioni che consumano la maggior parte delle risorse del pianeta, che producono più rifiuti, che inquinano di più il mondo, ed abbiamo costruito il nostro benessere sfruttando i paesi del terzo mondo. Provo disagio quando dei credenti dicono che noi siamo benedetti da Dio perché abbiamo quanto ci è necessario, e perché possiamo permetterci uno stile di vita discretamente agiato. Certo, non possiamo cambiare la situazione in un paese così lontano, ma anche noi, nel nostro piccolo, secondo le nostre possibilità abbiamo il dovere di aiutare quei nostri fratelli e sorelle che soffrono una situazione sfavorevole, una situazione che non è stata creata da Dio per punirli di qualche cosa, ma che può essere un’occasione per sondare la nostra fede, la nostra capacità di aiutare chi, in questo particolare momento, si trova in estrema difficoltà.
In Zimbabwe ho visitato un ospedale battista dove è difficile reperire medicinali, gasolio per far funzionare generatori e autoambulanze, eppure il personale fa del suo meglio per curare gli ammalati, e a volte si arrangia a dare sostegno laddove non può curare. In un ambulatorio rurale ho conosciuto un’infermiera che ha detto: «Avrei dovuto somministrare un antibiotico ad un paziente ma non lo avevo, e se anche lo avessi avuto, non avevo una siringa con la quale iniettarlo».
Questa semplice frase mi ha fatto capire che dobbiamo dimenticare un po’ di più i nostri bisogni e ricordare che siamo chiamati a dare una mano a chi in questo momento è nella prova e nella disperazione, non dando solo il nostro superfluo, ma offrendo al prossimo il meglio di ciò che abbiamo con generosità e con riconoscenza a Dio. Anche se estremamente poveri i fratelli e sorelle dello Zimbabwe mi hanno testimoniato che l’unica forza che li sostiene è la fede in Dio e l’amore per li lega gli uni gli altri. Questo è quanto noi possiamo imparare da loro!