Vi spiego cosa significa la Trinità nel mio rapporto con Dio. Anzi ve lo racconto.
Vidi Andrea per la prima volta a scuola. Andrea è più grande di me di un anno. Camminava davanti a me scherzando con i suoi compagni di classe. Nonostante fosse di spalle, mi colpì subito. Non tanto per quei capelli lunghi e quegli occhiali rotondi che lo facevano così simile a John Lennon, quanto per quegli occhi mobili e i movimenti repentini che lo facevano elastico come un felino di notte. Cosa avrei dato per essere suo amico!
L’anno successivo me lo ritrovai sul mio stesso banco di scuola: era stato bocciato. Fu per me il vero inizio dell’adolescenza. Con Andrea e successivamente con i miei compagni di classe, diventammo amici inseparabili. Quell’anno la vita ci apparve come un territorio inesplorato come il tempo delle possibilità illimitate. Scoprimmo insieme cosa significava uscire la sera, insieme andammo a fare il primo campeggio in montagna, insieme fummo investiti dalla giovinezza con i suoi entusiasmi e suoi turbamenti. Andrea si confermava quella persona curiosa e mai paga delle consuetudini che avevo intravisto all’uscita da scuola. Ma oltre a questo aspetto se ne presentò mano a mano un secondo più meditativo e composto. Andrea amava la confusione, vero. Ma amava anche la solitudine. Era a suo agio in quelle feste strampalate da quindicenni, eppure cercava rifugio in qualche posto isolato dove rimanere in silenzio. All’amico bizzarro si affiancava una persona riflessiva e calma. Erano lo stesso Andrea, eppure erano come due persone diverse. Inoltre proprio quella diversità di modi di agire davano corpo ad una persona ancora più integra e piena. Furono due anni turbolenti. Mano a mano che i mesi passavano le imprese di Andrea diventavano sempre più audaci e sempre meno assoggettabili a quel poco di disciplina che la nostra scuola ci imponeva. Io stesso cominciai a prenderne le distanze. Alla fine Andrea fu bocciato una seconda volta e fu come se una marea inesorabile ci dividesse.
Sono passati molti anni. La scuola è finita da un pezzo. Di Andrea non ho più saputo nulla o quasi. Io lavoro, vivo in un’altra città. Una mattina apro la posta elettronica e trovo questa mail: «Molti dolori subirà l’empio; ma chi confida nel Signore sarà circondato dalla sua grazia. Rallegratevi nel Signore ed esultate, o giusti! Gioite, voi tutti che siete retti di cuore!». Era Andrea. Il messaggio non conteneva altro se non questi due versetti del Salmo 32. Così all’amico di un’adolescenza pirotecnica, al compagno meditativo si aggiungeva un terzo e inedito aspetto: quello dell’uomo di fede. Quell’amicizia così radicale e bruciante si riallaccia di nuovo e in modo completamente nuovo.
Quello che so di Dio lo conosco attraverso Gesù Cristo. Un po’ come ho scoperto il significato dell’amicizia conoscendo Andrea, conosco cosa significhi l’amore di Dio attraverso la vita, la passione, la morte e la resurrezione di Gesù. Nella vicenda di Gesù Dio mi annuncia che non sono solo ma sono in rapporto con lui come un figlio che scopre di avere dei genitori. Non sono un estraneo per Dio, bensì coinvolto nel suo amore che lo Spirito Santo mi testimonia (Galati 4, 6).
La Trinità spiega chi è il Dio di Gesù Cristo. Dio è unico Dio – certo! – tuttavia non è un Dio solitario piuttosto un Dio che si manifesta a noi in tre persone o in tre modi diversi di agire. Proprio questa diversità, questa ricchezza di relazioni che intercorrono in Dio stesso attesta la totalità della presenza e della potenza salvifica di Dio (I Corinzi 12, 4 – 6).
La dottrina trinitaria non si trova in quanto tale nella Bibbia ma essa spiega coerentemente al testo biblico in che senso Dio è sempre l’unico ma anche completamente nuovo nella rivelazione di Gesù Cristo. Un po’ come la mia amicizia con Andrea, Dio in Cristo Gesù mi coinvolge nel suo amore sempre nuovo rimanendo pur sempre lo stesso Dio (II Tessalonicesi 2, 13 – 14).
Un migrante che accoglie migranti
Edouard Kibongui, della chiesa battista di Torino-via Passalacqua, ci racconta quando nel lontano 1976 lasciò il Congo-Brazzaville ed arrivò in Italia. Oggi, facendo tesoro della sua esperienza, è impegnato a Torino come mediatore culturale con gli immigrati.
Quel mattino di un po’ di anni fa a Roma, c’era il sole ma, non posso dimenticare la sensazione di freddo pungente che avevo provato nel breve tratto dalla passerella dell’aereo al pullman che ci portava all’aerostazione; eppure la temperatura era di 6°. Ci avevano detto che qualcuno sarebbe venuto a prenderci ma, non c’era nessuno cosicché, alla stazione Termini, preso l’autobus che ci doveva portare alla nostra pensione, ci siamo accorti a un certo punto che l’autista aveva spento il motore, che tutti erano scesi: era il capolinea! In quella piazza c’era tanta gente che andava e veniva, nessuno sembrava stupirsi di vedere dei ragazzi fermi lì con le loro valigie; ho saputo poi che quella era piazza San Pietro.
E, come dimenticare il primo Natale! Eravamo arrivati a Perugia la sera del 24 dicembre. Senza troppe difficoltà, avevamo trovato una pensione proprio vicino a corso Vanucci. C’era aria di festa, avremmo voluto partecipare anche noi se non che, la signora ci aveva spiegato che, per il riscaldamento c’era la stufa ma la bombola a gas bisognava procurarsela; i negozi erano già chiusi e riaprivano solo il 27. Così, mentre fuori si festeggiava la nascita di Gesù e le campane delle chiese suonavano, noi cercavamo il sonno impossibile sotto le coperte gelate.
La mia storia è, in fondo, divertente ma, tante altre non hanno il lieto fine. Lasciare il proprio paese di origine per un altro non è mai facile soprattutto se non si conosce nessuno nel nuovo paese. Le ragioni per andare via sono tante e tutte nobili ma, il dramma è sempre in agguato. Le situazioni vissute e quelle sentite mi hanno portato a chiedermi in quale modo si poteva rendere meno traumatico l’impatto del migrante con la nuova realtà. Un modo possibile è quello di riunirsi in associazione: il fatto di ritrovare persone dello stesso paese, di simili tradizioni e che hanno più o meno vissuto gli stessi problemi aiuta a sentirsi meno soli. Il potere delle associazioni in termini di rappresentatività è purtroppo assai limitato ma può sempre aiutare a portare all’attenzione dell’amministrazione locale le esigenze di quel gruppo di cittadini. A noi è capitato per esempio di partecipare all’elaborazione di quella che è stata la prima consulta elettiva degli stranieri a Torino di cui sono stato membro. Il corso di mediatore culturale mi ha permesso di conoscere un po’ meglio le leggi e le possibilità di interazione con le autorità ed è risultato molto utile per essere d’aiuto durante le varie sanatorie.
L’accoglienza dentro la chiesa di migranti è certamente facilitata dalla presenza di altri già inseriti che partecipano in modo attivo anche solo cantando ogni tanto qualche inno della propria chiesa di origine come mi è capitato di fare per tanti anni.