foto pag. 5di Nunzio Loiudice

 

Con questo articolo propongo ai lettori e alle lettrici sette tesi per avviare una discussione su questo tema. Ritengo che sia necessario ripensare l’evangelizzazione in un contesto mutato in cui ripensare alla chiesa in un contesto post-moderno.

Per fare tutto questo presento, secondo la mia libera esposizione, le tesi che David Bosch ha esposto in Trasforming Mission. Per il noto missiologo africano l’evangelizzazione è l’attività con cui noi annunciamo il vangelo. Tuttavia ci sono circa 79 definizioni del termine evangelizzazione. Questa ricchezza di significati dipende innanzitutto dalla confusione tra il termine evangelizzazione e il termine missione, quindi dallo scopo che esse si propongono e infine dalla gamma di significati che esse di volta in volta assumono.

Tradizionalmente la missione era intesa come l’attività della chiesa rivolta al Terzo mondo reputato non ancora cristiano. Oggi si è imposta l’idea che la missione riguardi il ministero della chiesa che, rivolgendosi al proprio territorio, annuncia l’evangelo a coloro che non sono più cristiani. Infatti, in occidente, non solo ci sono molte persone che una volta erano cristiane ed ora non lo sono più, ma moltissimi sono coloro che non sono mai stati cristiani.

Solitamente l’evangelizzazione è stata definita in termini piuttosto restrittivi. Al momento vi è nelle chiese protestanti una larga intesa nell’intendere l’evangelizzazione non solo un’attività specifica ma ciò che include tutte le attività ecclesiastiche.

1. Anche se sinonimi, missione ed evangelizzazione non hanno lo stesso significato. La missione è il compito totale che Dio ha affidato alla chiesa: amare, servire, predicare, insegnare, guarire, liberare. L’evangelizzazione è la testimonianza di quello che Dio ha fatto, fa e farà. L’evangelizzazione è annunciare che Dio è intervenuto nella storia umana attraverso Gesù Cristo che ha inaugurato il regno di Dio.

2. L’evangelizzazione perciò è la buona notizia dell’amore di Dio in Cristo che trasforma la vita. L’evangelizzazione ha come obiettivo una risposta ad un fermo appello: «Pentiti e credi nel vangelo». La conversione implica un cambiamento.

3. In questa accezione l’evangelizzazione non è rivolta solo all’individuo. Quello che Dio fa, non lo fa soltanto nella “mia” vita, lo fa anche nella vita degli altri, nella comunità e nella società. La stessa storia biblica è una storia comunitaria. Pertanto la chiesa che evangelizza deve tenere debitamente in conto i gruppi sociali ai quali si rivolge.

4. L’evangelizzazione è sempre un invito non una minaccia. La buona notizia del risorto non è una panacea per le persone frustrate e neppure l’elargizione di sensi di colpa. La gente deve venire a Dio per il Suo amore e non per paura dell’inferno.

5. L’evangelizzazione è offrire la salvezza oggi con la certezza della vita eterna. L’evangelo offre segni di speranza e uno scopo alla nostra vita. Tuttavia il vangelo non è un prodotto da supermercato. L’evangelo non è la soddisfazione di un bisogno personale, ma la vocazione ad una vita di servizio e di missione.

6. L’evangelizzazione non è proselitismo. L’evangelizzazione non è la competizione con altre chiese. La gente viene salvata per grazia e non perché aderisce ad una o all’altra comunità, in questo senso l’evangelizzazione non significa estendere la chiesa. Questa idea esplicitata anche ultimamente con «non c’è salvezza fuori della chiesa» non ci appartiene. Non dobbiamo essere una chiesa della raccolta quanto piuttosto quella della semina. Tuttavia non possiamo restare indifferenti ai numeri. Dopo tutto è nella missione della chiesa quella di moltiplicare le comunità «poiché il Signore vuole che nessuno perisca ma che tutti giungano a ravvedimento» (2 Pietro 3, 9). La crescita numerica è il risultato di una chiesa autentica.

7. L’evangelizzazione non è solo proclamazione verbale: L’apostolo Paolo scrive: «quando vi abbiamo annunziato il messaggio del vangelo, ciò non è avvenuto solo a parole, ma anche con la forza e l’aiuto dello Spirito Santo» (1 Tessalonicesi. 1, 5). La Parola di Dio non è mai separata dall’azione. Un invito evangelistico deve essere sempre orientato verso un discepolato attivo che chiama la gente all’opera che il Signore vivente porta.

Detto ciò, rimangono due domande: «a causa di cosa sono salvato, salvata, e perché devo diventare membro di una chiesa?». La risposta a queste domande rimanda ad un’evangelizzazione esplicita. Ogni persona credente è chiamata a raccontare il cambiamento della propria vita. Ogni credente è convocato, convocata, a spiegare cosa ha significato orientare in modo nuovo i propri valori a seguito della liberazione dalle schiavitù che provengono da un mondo fatto di poteri forti, un mondo globalizzato che diventa sempre più spaventato, privo e vuoto di senso e significato. Infine l’evangelizzazione è possibile quando la comunità che evangelizza manifesta uno stile di vita attraente: «quello che siamo e facciamo non è meno importante di quello che diciamo». Se la chiesa è portatrice di un messaggio di speranza, amore, pace giustizia, allora qualcosa di tutto ciò dovrebbe essere visibile, udibile tangibile nella chiesa stessa.

Questo elenco di tesi, peraltro incompleto per ragioni di spazio, ad alcuni può sembrare scontato. La realtà sembra dire il contrario. Vi invito perciò a continuare la discussione sia nei piccoli gruppi sia con tutta la comunità anche a partire dalle seguenti domande:

Quali sono le aspettative che gravano su una persona che diventa credente? In che cosa è diversa una persona che diventa cristiana? Come vive? Come si fa a dire che una persona è un cristiano e l’altra non lo è? Qual è la condizione della chiesa dalla quale parte l’evangelizzazione? Cosa si aspetta la società, la cultura, il mondo dalla chiesa?

Ci piacerebbe che voi poteste condividere con noi le vostre discussioni (dipartimento.evangelizzazione@ucebi.it).

 

Note

1. Esiste in italiano pubblicato dalla Queriniana con il titolo, La trasformazione della missione