di Stefano Meloni

Perché parlarne? La risposta è semplice: perché il diritto a un’educazione inclusiva e a una istruzione di qualità non è garantito in egual misura per tutte le bambine e i bambini di questo mondo.

Perché il riconoscimento dei diritti è un passo fondamentale, ma la garanzia e la salvaguardia di quanto ottenuto sono il risultato di una attenzione costante, finanche di una lotta.

Secondo l’organizzazione Save the childrenIl diritto all’educazione è la premessa fondamentale per lo sviluppo ed è lo strumento più valido per combattere povertà, emarginazione e sfruttamento.”1

In più, gli ultimi dati sull’istruzione ci dicono che dall’inizio della pandemia da Covid-19 le scuole sono state chiuse in 192 Paesi, escludendo circa 1,6 miliardi di bambini e bambine dal percorso scolastico e l’UNICEF segnala il dato drammatico di circa 872 milioni, attualmente, non in condizione di tornare a scuola.2

Anche nella nostra nazione, nonostante lo sforzo pur encomiabile, per assicurare ai nostri studenti del primo e del secondo ciclo di istruzione una regolarità nell’erogazione del servizio scolastico, abbiamo purtroppo dovuto rilevare il crescere dei fenomeni che generano differenze e determinano ineguali opportunità nell’arco temporale dalla scuola dell’infanzia alle scuole superiori. 

Il divario tecnologico, fatto di difficoltà di connessione, di tecnostress, di mancanza di competenze adeguate all’inclusione nel mondo digitale, di eccesso di esposizione senza controllo parentale, di rischio di contatto con informazioni inappropriate e contenuti espliciti, in realtà, oggi, rende manifesto uno status di disuguaglianza digitale, di cui non siamo ancora pienamente in grado di valutare le conseguenze.

La tanto paventata dispersione scolastica, che altro non è che la perdita di opportunità, di conoscenze, di memoria, di consapevolezza di sé, di motivazione e di incapacità di ipotizzare un futuro personale, porta all’uscita dai percorsi strutturati di istruzione e genera l’esclusione e l’isolamento dai contesti culturali e sociali.

Poiché la scuola è sempre più il luogo della socializzazione primaria, la non frequenza stabile e continuativa causa un indebolimento della relazione sociale, del sentirsi parte, dello stare con. Il vulnus educativo che ne consegue diventa difficilmente colmabile perché la dimensione individuale non trova più posto nello spazio collettivo.

Chi si smarrisce in una situazione di disuguaglianza? Chi arretra nelle opportunità di successo scolastico e di educazione alla cittadinanza? Chi soffre il divario nell’accesso alle infrastrutture tecnologiche? Chi subisce i maggiori contraccolpi dall’obbligo di restare a casa? Anche in questo caso, purtroppo, la risposta è semplice e drammaticamente nota: chi ha di meno, chi parte da una condizione di svantaggio culturale-economico-sociale, chi appartiene a classi meno abbienti, chi vive una condizione di povertà educativa. Ma soprattutto le bambine più che i bambini, costrette a interrompere l’accesso agli studi, a subire un impoverimento culturale e, contestualmente, ad assumere un ruolo da cui, con molta fatica, si tenta di emanciparsi. Quando non, purtroppo, a subire molestie e violenze, cresciute in questo ultimo anno in ambito domestico.

L’impatto di uno status svantaggiato, però, non è “solo” individuale ma anche familiare e sociale. Le ricadute di una sofferenza educativa che si protrae nel tempo, la fuoriuscita dal percorso scolastico, sono condizioni facili a verificarsi ma estremamente difficili da intercettare e correggere. Il costo che paga la società civile, in termini economici, di benessere, di pari opportunità, di solidarietà, di salute pubblica e personale è altissimo.

La disuguaglianza di accesso alle condizioni di sviluppo e crescita personale genera poi, come il sonno della ragione, mostri. Che possono essere tradotti in mancanza di autostima, di corretta percezione di sé, in incapacità di “pensare” al proprio futuro come parti attive della società, in minimo possesso di strumenti culturali per esprimere scelte consapevoli su temi sensibili come, per esempio, la partecipazione ai processi decisionali e politici, le scelte professionali in coerenza al proprio desiderio e talento, la capacità di lettura della dimensione collettiva nella quale si è inseriti.

E all’estremo può produrre un disagio, un disequilibrio del sé che degenera, portando a scelte delinquenziali o violente, finanche autodistruttive, intese quasi come ovvia, possibile e perseguibile conseguenza in periodi di crisi come quello che si sta vivendo.

Non suscita gaudio e consolazione, infine, il mal comune che vede tutta la società occidentale investita dalle stesse complesse problematiche di sviluppo sostenibile e di messa in discussione delle scelte ambientali, dalle decisioni in tema di migrazione, dai modelli di sviluppo basati sullo sfruttamento indiscriminato di risorse umane e della terra che abitiamo. Temi che hanno direttamente a che fare con un’educazione di tipo inclusivo e un’istruzione che accompagni la crescita culturale personale e collettiva.

Non a caso, infatti, nell’Agenda ONU 2030, che definisce 17 obiettivi per un mondo sostenibile, trova spazio quello per l’istruzione di qualità. Obiettivo che ha impatto sulle grandi questioni che impegnano la riflessione e lo studio di chi ha a cuore le sorti di questo mondo. Obiettivo che può essere considerato un punto di partenza proprio perché rivolto alle giovani generazioni a cui stiamo porgendo un mondo malato.

Perché parlare di questi temi in un numero del Seminatore dedicato ai diritti? Che se ne fanno le chiese di questi spunti di riflessione? Nelle prossime pagine proviamo ad approfondire un po’, cogliendo nessi tra la nostra storia di chiese che mediamente invecchiano, che sono frequentate da pochi giovani e sempre meno bambini nella Scuola Domenicale, ma che hanno una domanda di testimonianza evangelica da rendere oggi, una vocazione a cui dare risposta. Quell’oggi diseguale dove i diritti fondamentali sono messi in discussione e dove la Parola predicata o si incarna nelle vite di coloro che lamentano marginalità, esclusione, povertà, solitudine o resta un vuoto balbettio che sale dai nostri pulpiti e si ferma lì.

In che modo le nostre chiese possono farsi carico di tentare delle risposte?

Quali azioni possiamo implementare perché ai nostri, e non solo ai nostri, bambini possa essere garantito un diritto che diventa opportunità per un’educazione inclusiva, per un’istruzione che li faccia crescere in statura e sapienza?

La dimensione comunitaria può essere una strada percorribile?

Note:
  1. https://www.savethechildren.it/
  2. https://www.osservatoriodiritti.it/2020/10/30/diritto-allo-studio-nel-mondo/