Il 12 novembre 2004, in coincidenza con l’ultimo venerdì del Ramadan, si celebrerà la terza giornata ecumenica per il dialogo cristiano-islamico. È dal 2001, subito dopo gli attentati dell’11 settembre, che un consistente gruppo di cristiani di tutte le chiese esistenti nel nostro paese e di musulmani è tenacemente impegnato a sostenere il dialogo cristiano-islamico e ad opporsi alla crescente islamofobia che viene fomentata ad arte per giustificare il cosiddetto «scontro di civiltà», teorizzato dai sostenitori della «guerra infinita». Per la terza volta diremo a tutti che appartenere ad una qualsiasi fede religiosa è incompatibile con l’odio per altre religioni e che il dialogo altro non è che la concretizzazione del comandamento del «non uccidere» che tutte le religioni hanno scritto nei propri codici etici e morali. Per la terza volta grideremo forte la nostra vocazione alla pace, la nostra intransigente difesa del creato contro ogni politica di riarmo bellicista che distrugge risorse naturali e impoverisce miliardi di esseri umani. Per la terza volta diremo che chi vuole il dialogo ha il dovere di preparare il dialogo, come chi vuole la pace deve costruire la pace. E pace e dialogo si costruiscono giorno per giorno, nel rapporto costante con qualsiasi essere vivente quale sia la sua religione, l’ideologia, la nazionalità, il colore della pelle. Come negli scorsi anni, questa terza giornata del dialogo cristiano-islamico vuole essere un momento di stimolo del dialogo interreligioso in generale. In particolare, e vista la situazione oggi esistente soprattutto nel Medio Oriente, si cercherà di fare di questa giornata un momento per l’avvio di un «tri-dialogo» che veda impegnati ebrei, cristiani e musulmani, le tre religioni monoteiste che discendono dal comune padre Abramo. L’apertura di un tri-dialogo che coinvolga le tre religioni abramitiche potrebbe costituire una spinta decisiva verso un più generale e diffuso dialogo interreligioso che spinga tutte le religioni a sconfessare in modo netto e senza equivoci chi dalla guerra trae profitti. Finora questo tri-dialogo è stato limitato ad alcuni importanti incontri che le componenti giovanili delle tre religioni monoteistiche italiane hanno realizzato negli ultimi due anni. È un buon segno su cui occorre continuare ad impegnarsi nel prossimo futuro. Ma molto lavoro c’è ancora da fare. C’è ancora troppa diffidenza reciproca su cui soffiano i nemici della pace che cercano di ottenere l’appoggio di ogni singola religione alle proprie politiche belliciste, facendo leva sul nazionalismo e sul fondamentalismo che è presente in tutte le religioni. Ma gli uomini e le donne di Dio possono dimostrare con la loro azione che le religioni, quando sono testimonianza della ricerca di Dio da parte dell’umanità, non hanno motivo per odiarsi perché Dio, qualsiasi sia il nome con cui lo chiamiamo, non appartiene ad alcuna religione ed ognuno non può far altro che testimoniare agli altri quello che è il proprio livello di comprensione del mistero che chiamiamo Dio. Chi è innamorato di questa ricerca non potrà mai odiare chi compie la stessa ricerca, qualsiasi sia il proprio punto di partenza, la propria cultura, le proprie tradizioni. Le guerre le fanno le persone in carne ed ossa e oggi come ieri i soldati sono per lo più mercenari, che vendono la propria vita per un pugno di dollari o di euro che siano. E noi crediamo fermamente che il dialogo fra le religioni ed in particolare fra quelle abramitiche può aiutare le persone a liberarsi della paura del diverso che nella storia è sempre stata usata per distruggere la pace e favorire le guerre. Dialogare, quindi, per prendere coscienza delle proprie responsabilità davanti a Dio e all’umanità. E ogni momento di dialogo fra le religioni è un contributo a che l’umanità butti fuori le guerre dalla storia. Le due giornate del dialogo cristiano-islamico e le tante manifestazioni per la pace che abbiamo alle nostre spalle ci dicono che il popolo della pace e del dialogo è più forte di qualsiasi tentativo di criminalizzazione di una specifica religione o dell’odio razziale. Il futuro appartiene alla pace ed al dialogo: è questa la speranza per la quale siamo impegnati a lavorare.