Gangaledi Rosanna Ciappa

 

Singolare figura di intellettuale, Giuseppe Gangale, raffinato e scontroso, dal carattere schivo e poco conosciuto, forse perché rimasto sempre intenzionalmente defilato rispetto agli ambienti culturali e intellettuali più in vista.

Pur entro i limiti imposti da una esposizione rapida che non consente excursus biografici [peraltro rinvenibili nella letteratura specialistica esistente] sembra opportuno soffermarsi su quella che fu la svolta epocale della sua vita, un taglio netto che consapevolmente e drasticamente interrompeva un ciclo di esistenza e di pensiero. Dopo essere stato negli anni venti del secolo scorso, alla direzione del periodico battista “Conscientia” (1922-1927), animatore e protagonista di battaglie culturali e politiche insieme a Piero Gobetti ed altri intellettuali antifascisti, e allo stesso tempo essere stato sostenitore di una proposta di riforma religiosa che, nella crisi del tempo, potesse restituire all’Italia un nuovo ethos morale e civile, decise improvvisamente di chiudere senza appello questa pur ricca esperienza (1934), ritirandosi in una specie di esilio volontario in giro per l’Europa, e di abbandonare gli interessi religiosi nel campo minoritario del protestantesimo italiano, per dedicarsi (con altrettanta passione) ad asettici studi specialistici di linguistica delle minoranze etniche europee. Perché?

Colpisce l’inconsueta, provocatoria dichiarazione di dismissione da un ruolo non più sostenibile: “Io me ne vado. Il mio compito è chiuso. Il ciclo delle mie idee è compiuto Non ho più niente da dire né a Lei, né agli altri giovani” – dichiarerà con franchezza a dire poco imbarazzante nell’intervista-congedo rilasciata a M. A. Rollier nel 1934 [cf. “Gioventù Cristiana” III, n.4, p.126]. E ancora, con lucida consapevolezza dell’usura e della precarietà di ruoli divenuti stereotipi: “Io non voglio ripetermi né vivere della rendita delle mie idee…. I profeti non devono diventare parroci… in una terra cattolica bastano i parroci cattolici”. Eppure, alla fine, lascia uno spiraglio: “No, la mia avventura con Dio non è finita…”.

Dunque, l’avventura della fede continua. Ma qual è stata la fede di Giuseppe Gangale, questo filosofo calabrese divenuto protestante nell’Italia cattolica degli anni venti del Novecento? E come e perché la scelta di una denominazione come il battismo, chiesa di missione, non appartenente alle chiese storiche della Riforma del XVI secolo? E’ noto che Gangale, qualche tempo dopo essersi trasferito a Roma per assumervi la direzione di “Conscientia”, chiese di entrare nella Chiesa Cristiana Battista di S. Lorenzo in Lucina dove ricevette il battesimo per immersione da Piero Chiminelli (1924).  Questa può apparire, ed è, in parte, una scelta ovvia, scaturita dall’incontro col mondo battista e dalla collaborazione al settimanale; va poi aggiunta la circostanza che nel periodo degli studi universitari aveva incontrato colei che diverrà più tardi sua moglie, Maddalena di Capua, membro attivo della comunità valdese di Firenze; insomma aveva esperienza dell’ampio ventaglio degli orientamenti teologici ed ecclesiologici presenti fin d’allora nel protestantesimo italiano. Perché, dunque, la scelta battista, ed anche, più a monte, perché la scelta protestante?

Se è lecito adoperare il termine convenzionale di “conversione”, va precisato che nel suo caso essa non avvenne per un’improvvisa illuminazione, ma per una “lenta e ragionata evoluzione intellettuale”, per esprimersi con le parole di un suo fine interprete, Paolo Sanfilippo, che ne scrisse una breve ma penetrante biografia due anni dopo la morte, nel 1981. In effetti Gangale stesso ne parla come di una lenta e progressiva presa di coscienza: “nato in terra cattolica, ateo dalla fanciullezza, simpatizzante poi, per ragioni filosofiche, con il pensiero protestante europeo, ..vide un giorno questa sua simpatia …lentamente trasfigurarsi …ed approfondirsi in un vero e proprio ‘stato d’animo’ cristiano e settario di chi predica un ‘dio straniero’ con le parole di una civiltà al tramonto” [Pref. a Il Dio straniero, Doxa, Milano 1932]. L’adesione al protestantesimo appare dunque motivata da ragioni storico-culturali. In un paese cattolico l’opzione protestante ha il carattere della rivendicazione di un’identità intransigente, l’anomalia di chi predica “un Dio straniero” nell’Areopago culturale e religioso della modernità, “in cui trionfa lo spirito umanistico e mistico”.

Ma in un articolo poco citato e valorizzato, dal titolo Derivazione da Lutero [“Conscientia, 9-1-1926], sorprendentemente Gangale fornisce una chiave di lettura teologica della prassi battista, e indirettamente della sua adesione al battismo. Il centro della fede protestante – scrive – sta nel problema del peccato e della salvezza. Lutero rovescia la teologia delle opere (l’uomo collabora con Dio alla propria salvezza), e scopre che Dio salva “colui cui dà fede”, cioè che la salvezza consiste “nell’atto illuminativo della fede”, per il quale si assume coscienza di Dio. Questo rovesciamento (salvezza per fede e non per opere), ha una ricaduta sul piano pratico: “..l’eliminazione della prassi penitenziale e la polarizzazione di tutta la vita protestante nell’atto battistico [battesimale], simbolo di affermazione della fede già per grazia ricevuta”. L’importanza del battesimo è enorme, e va a coincidere temporalmente con “la ricezione della fede”, con la “maturità” dell’uomo che prende coscienza di Dio. Ne discende un’ulteriore ricaduta sul piano ecclesiologico: la Chiesa protestante non è un’istituzione dispensatrice della salvezza in essa depositata, al contrario, sono i credenti che pongono e compongono la Chiesa mediante la propria fede “maggiorenne”, già per proprio conto ricevuta. “La fede protestante dà insomma la Chiesa protestante, non viceversa”.

Sono due citazioni che esprimono bene la polarità entro cui si mosse il pensiero di Gangale: la proposta culturale di una riforma religiosa neo-calvinista per l’Italia cattolica, e insieme l’adesione spirituale ad una chiesa come quella battista, che valorizza l’opzione consapevole della fede individuale.