dialogo_04_01a cura di Marta D’Auria

 

L’approfondimento della cultura e della religione ebraica è per noi cristiani irrinunciabile. Gesù di Nazareth, infatti, era e rimase un ebreo. Attraverso la conoscenza della tradizione ebraica ed il dialogo con l’ebraismo, vogliamo provare non solo a recuperare parte delle nostre radici, ma anche a comprendere più autenticamente noi stessi. Chi si accosta all’ebraismo rimane subito colpito dall’appassionato amore per le Scritture. Per il popolo ebraico lo studio delle Scritture non è fine a se stesso ma deve sfociare nella vita di chi legge. Un antico racconto ebraico (midrash) narra che un giorno un discepolo andò a trovare il suo maestro il quale gli chiese: «Cosa hai imparato?», il discepolo rispose: «Ho attraverso tre volte il Talmud1 », ed il maestro gli disse: «Ma il Talmud ti ha attraversato?». Colui che commenta e comprende le Scritture porta sempre qualcosa di nuovo, di originale nello studio e nell’interpretazione. Un midrash «Dio, quando Israele uscì dall’Egitto e si ritrovò nel deserto, mandò la manna come nutrimento. La manna nutrì Israele per quarant’anni. Essa aveva un sapore diverso a secondo di chi la mangiava: era pane per il giovane, miele per l’anziano e latte per il bambino. La Bibbia è un po’ così, a seconda di chi la legge, della circostanza in cui la si legge, del momento in cui viene letta, ha sapori diversi, pur essendo lo stesso libro».

Giacoma Limentani

Nata nel 1927 a Roma, dove vive e lavora, Giacoma Limentani è una delle interpreti più sensibili della cultura ebraica. Scrittrice, traduttrice, anima gruppi di studio sulla Torah2 e sul Midrash. Le abbiamo chiesto cosa rappresenta per lei l’amore per lo studio delle Scritture. «Lo studio della Torah è il primo di tutti i Comandamenti, ma c’è molto di più. Mi spiego con un ricordo. Uno dei miei nipoti, allora era un ragazzino, mi chiese di voler studiare con me le Scritture. Dopo alcuni incontri decise di non voler tornare più: non condivideva che ad ogni evidenza che veniva fuori dalle letture bibliche, la rimettevamo in discussione con un altro commento, interpretazionea. Si sa, a dieci anni i ragazzi cercano certezze. E la cosa che lo aveva più sbalordito era che noi parlavamo dei personaggi biblici come se fossero persone di famiglia: “Abramo ha detto questo…”, “Isacco ha risposto così…”. Un coinvolgimento tale nasce da un profondo affetto per i personaggi, e le Scritture sono anche fatte di personaggi, la parola di Dio si esprime attraverso i personaggi. C’è un rapporto di misericordia tra il lettore e le Scritture da cui scaturisce anche la libertà: libertà di discutere, di interpretare, di giocare con le parole, di fantasticare, sempre però nel rispetto delle Scritture». – Lo studio delle Scritture accompagna tutta la vita di un ebreo… «Sì, esso scandisce tutti momenti della vita, da quando sei nata a quando muori. E mentre studi ti trasformi. Perché non c’è dogma, non c’è la spiegazione fissa: tutto è in divenire, quello che oggi interpreti in un modo, lo interpreterai domani in un altro. Ricordo una volta, durante una lezione sul profeta Ezechiele, stavo annotando degli appunti sul lato di una pagina della mia Bibbia. Vedendo che il mio maestro mi guardava, gli dissi: “Scusi. Appena sarò a casa cancellerò tutto”. Lui mi rispose: “Guardati dal cancellarlo. Non solo perché quello che per te oggi è un pensiero passaggero, domani lo ritroverai, ma anche perché chiunque altro prenderà in mano questo testo, avrà la testimonianza dello studio di un momento”. E io aggiungo che quel momento, nel fluire del tempo, è testimonianza del fatto che sia tu che la tua interpretazione possono cambiare». – In questo modo il testo si apre ad una molteplicità di letture… «Almeno 32, che è la ghematrijah3 di cuore. La Torah inizia con la lettera Bet, di Bereshit (Genesi) e termina con la lettera Lamed, di Israel (con cui si chiude il Deuteronomio). Insieme, le due lettere formano la parola Lev, cuore, a indicare che la vera conoscenza della Torah si può acquisire solo per mezzo del cuore. – In che modo l’amore per lo studio della Scrittura si intreccia con l’insegnamento di queste? «È la stessa cosa, chi sa di più insegna a chi sa poco: è un circolo virtuoso. Dicono i maestri: “Trovati un compagno con il quale studiare, un maestro al quale insegnare”. Nel senso che nell’incontro con l’allievo che legge un testo per la prima volta, il maestro può crescere, ricevendo un commento, un’interpretazione per lui nuova e originale. Inoltre chiunque, per grazia di Dio, ha delle conoscenze ha il dovere di insegnare. Dio gli ha fatto questo dono e i doni si restituiscono. Non ci si può sottrarre al compito di insegnare, mai. Certo, insegnare è un’attività che può esporre al rischio, ma la vita stessa è un rischio. Se uno vive davvero, accetta anche questa sfida». 1) Talmud, significa studiare, insegnare, imparare; si tratta di un vastissimo insieme di tradizioni rabbiniche, redatto da maestri di Babilonia e di Gerusalemme. 2) Torah, significa insegnamento e si compone dei primi cinque libri della Bibbia (Pentateuco). 3) La Ghematrijah è il calcolo del valore numerico delle lettere che compongono una parola.