“L’amore di Dio è per ogni creatura”
Nel racconto della guarigione del servo di un centurione, Gesù è a Capernaum, in un piccolo villaggio della Galileia. Qui, è avvicinato da un ufficiale romano. L’ufficiale che si avvicina a Gesù, non è una persona qualsiasi, ma è un pagano, un impuro; egli è il simbolo per eccellenza di quel dominio degli stranieri sulla terra degli ebrei. Il centurione, dunque, è un uomo disprezzato e non solo per il fatto di essere un pagano, ma soprattutto per essere un occupante.
Eppure, proprio questo ufficiale, disprezzato e odiato, si reca da Gesù per chiedergli di guarire il suo servitore. L’infermità del suo servo è molto seria, un’infermità che lo costringe a stare paralizzato procurandogli non poche sofferenze. Il centurione si mostra molto affezionato al suo servitore se si è preoccupato così tanto di cercare Gesù, pur sapendo di non appartenere allo statuto del popolo di Dio. L’ufficiale si dà pena per il suo servitore che soffre e ritiene che Gesù lo possa guarire.
È un immagine che colpisce quella che l’evangelista Matteo ci presenta: un pagano e un odiato soldato che si reca dall’ebreo Gesù per chiedergli una guarigione. Il centurione è animato dal desiderio che il suo servitore trovi presto sollievo e guarisca dalla sua infermità. Gesù non sembra stupito dalla sua richiesta, anzi gli offre il suo aiuto dicendogli: «Io verrò e lo guarirò». Gesù si rende disponibile a recarsi a casa di un pagano senza paura di potersi contaminare. Ma i suoi programmi sono interrotti. Il centurione riconosce la sua indegnità: «Io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto», volendo dire a Gesù: «Ma chi ti ha chiesto di venire da me? Te l’ho chiesto forse io? Lo so che sono un impuro e che la casa di un romano è assolutamente inadatta per ospitare un rabbì ebreo. Sono soltanto un pagano e non merito nulla!» (cfr. Alphonse Maillot). Il centurione riconosce l’elezione di Israele, è consapevole di non appartenere al popolo eletto e quindi di non essere degno di ricevere Gesù in casa sua. Prende Gesù in contropiede che invece si è mostrato particolarmente disponibile a guarire il suo servitore.
Allora cosa chiede quest’uomo? Chiede a Gesù di pronunciare una parola e il suo servitore sarà guarito; il centurione chiede a Gesù di operare una guarigione a distanza, né di visitare né di toccare l’ammalato: «Dì soltanto una parola e il servo sarà guarito». La sua umiltà lo porta, sì, a riconoscere di essere un estraneo allo statuto sacro del popolo di Dio, ma al tempo stesso è fiducioso che la sola parola di Gesù possa mostrarsi efficace. L’uomo è così fiducioso che Gesù può dire alla malattia: «Vai!» ed essa se ne andrà. Poi dice a Gesù: «Io sono un uomo subalterno ad altri e ho sotto di me dei soldati, e dico a uno: “Va’ ed egli va; ad un altro: Vieni, ed egli viene; e al mio servo: Fa’ questo, ed egli lo fa”». Il centurione comprende che davanti all’autorità di Gesù nessun’altra autorità umana ha più valore, neppure la sua, abituato com’è a dare ordini e a vedersi obbedito. Dinanzi alla malattia del suo amato servo, la sua autorità di ufficiale si mostra impotente. Il pagano manifesta così una illimitata fiducia nel potere e nell’autorità di Gesù. Gesù è meravigliato dalle parole di quest’uomo; il maestro galileo loda la sua fede, una fede grande che fa dire a Gesù: «Io vi dico in verità che in nessuno, in Israele, ho trovato una fede così grande». Coloro che avrebbero dovuto riconoscere Gesù non l’hanno riconosciuto. Gesù ha incontrato tanta incredulità e tanta opposizione proprio tra la sua gente.
La fede che Gesù riconosce è soprattutto la fiducia del centurione: per lui Gesù può guarire il suo servo, senza vederlo e senza toccarlo, ma unicamente con la sua parola. Il centurione intuisce che nella persona di Gesù si manifesta e si realizza la volontà di Dio e che Gesù può pronunciare una parola al posto di Dio. È questa la grande fede del centurione pagano!
Da quest’incontro anche «Gesù comprende che i tempi sono compiuti, che cadono le frontiere e che il regno viene» (cfr. Alphonse Maillot). Un regno nel quale anche il centurione trova il suo posto, un escluso che viene incluso nel banchetto del regno con Abramo, Isacco e Giacobbe. Gesù avverte nel proprio intimo la tristezza, la tristezza di constatare che la fede (come oggi) è presente dove non se l’aspettava, mentre manca laddove doveva esserci, nei figli del regno. Mentre gli stranieri lo cercano, molti del suo popolo lo respingono non riconoscendo in lui l’opera dello Spirito di Dio. Allora, si è membri del nuovo popolo di Dio per la fede in Gesù Cristo e per il riconoscimento della sua autorità.
Con la sua predicazione Gesù abbatte ogni barriera. Il muro di separazione che divideva gli ebrei dai gentili è finalmente crollato. Il miracolo che Gesù compie è più di un miracolo, esso rappresenta l’inizio di quella predicazione che sarà rivolta a tutti popoli. L’apostolo Paolo ci ricorda che con la morte e resurrezione di Gesù «Non c’è qui né Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è né maschio né femmina; poiché voi siete uno in Cristo Gesù» (Galati 3, 28). Ora, c’è un solo popolo, il popolo dei figli e delle figlie di Dio, animato dalla fede in Gesù. Da questo popolo nessuno è escluso. L’annuncio di Gesù è: io vi dico in verità che molti verranno da oriente e da occidente, dall’Asia e dall’Africa, da settentrione e da mezzodì e sederanno a tavola con Abramo, Isacco e Giacobbe. La misericordia di Dio è per ogni creatura indipendentemente dalle differenze di razza, di classe, di sesso e di religione. L’amore di Dio abbraccia tutti gli uomini e le donne.
Adesso leggi e medita Matteo 8, 5-13