In un mondo plurale, infestato da ideologie di odio, imbrattato dal sangue versato, impaurito e aggressivo, in un mondo globale sommamente iniquo, quale posto occupa per i credenti l’evangelizzazione? Quanta convinzione e quanta passione ci mettiamo? E soprattutto, ci crediamo? Evangelizzare, condividere una notizia buona: Cristo ci ha svelato il volto di Dio, ha adempiuto le promesse antiche, ci ha fatto eredi di una speranza eterna, ci ha salvato dal non senso, ha smascherato la menzogna. Una notizia buona: Dio ci incontra nella sua Parola e si comunica attraverso il suo Spirito. Una notizia buona: non siamo soli, la nostra fragilità e perfino la nostra complicità con il male non sono senza rimedio perché Dio perdona chi si pente di cuore. Una notizia buona che abbiamo ricevuto attraverso una sequenza ininterrotta di testimoni. Evangelizzare è sapersi impegnati a non interrompere questa sequenza, è sfidare tutte le cattive notizie con la forza di una sola notizia buona. Alcuni pensano che questa notizia buona possa essere trasmessa come un’informazione qualunque. Secondo questa impostazione l’Evangelo viene sintetizzato in alcune (poche) formulazioni schematiche, che chi evangelizza si ingegna di comunicare. Una volta che il passaggio di informazione è avvenuto considera esaurito il suo compito. Io non la penso così. Per l’Evangelo non ci vogliono degli informatori ma dei testimoni. I testimoni sono persone che comunicano quello che è già profondamente inciso nella loro vita. L’Evangelo stesso infatti più che informare, forma. Giorno per giorno dà forma e anche sostanza al nostro esistere. Se si vive la missione da informatori, l’evangelizzazione ha tempi e modi stabiliti e generalmente ha un intento quantitativo. Se lo si vive da testimoni, l’Evangelo è comunicato «a tempo e fuor di tempo» e coinvolge profondamente chi lo trasmette e chi lo riceve. È comunicazione di testa ma anche di cuore, di voce ma anche di mani strette insieme e pesi condivisi. Essere testimoni di Cristo è molto impegnativo. Non siamo chiamati solo a testimoniare di quello che al tempo della nostra conversione «abbiamo visto e udito» (Luca 7, 22) per la fede, ma a dare quotidianamente «conto della speranza che è in noi» (I Pietro 3, 15). Testimoni della speranza, testimoni del futuro che verrà e non tarderà perché in Cristo risorto è stato anticipato. L’Evangelo è notizia buona nelle tre dimensioni del tempo, è notizia buona e profumo di salvezza anche per questa generazione. Ma ha bisogno di testimoni svegli e appassionati, non disorientati dalla confusione dei messaggi, non intimiditi da chi ha la voce più forte, non indeboliti dalla coscienza della propria fragilità. Cosa si chiede in fondo al testimone se non che sia fedele e che in coscienza sia pronto a dire tutta la verità?