«Stanno girando intorno al cuore. Dio è là nei loro cuori. È come una preghiera: perdono tutti i punti di riferimento, quella pesantezza che chiamiamo equilibrio…”. È Omar Sharif che sussurra questa frase carica di poesia nel film “Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano”, mentre scorrono immagini di dervisci danzanti che incantano con il loro vorticoso girare. Mi piace paragonare alla preghiera il mio incontro con l’Islam, perché la preghiera è lo spazio della relazione, del dialogo, dell’incontro con se stessi e con Dio. Ma è anche il luogo del silenzio che ci dà la dimensione dell’ascolto, necessario al dialogo. Ho suggerito la metafora della preghiera perché è la prima cosa che mi viene in mente quando penso a Zaccaria, un giovane musulmano che per diversi anni è stato ospitato nei locali della chiesa battista di Napoli della quale faccio parte.
Zaccaria pregava, e molti di noi hanno sentito la sua voce elevarsi proprio tra le pareti di una chiesa protestante. L’incontro con Zaccaria ci ha insegnato a riconoscere il valore del nostro limite e della nostra parzialità, a pensare di essere in una relazione tra diversi che nella diversità esprimono la propria fede in Dio. Questo non significa abbandonare la propria specificità, identità, spiritualità e storia, ma significa avere la consapevolezza che non tutto di Dio e del mondo è detto attraverso di noi.
Probabilmente le nostre chiese in questo tempo di fondamentalismi sono chiamate ad esercitarsi a pronunciare, come diceva Bonhoeffer, “parole penultime”, quelle parole che non accampano verità assolute ma che lasciano spazio all’altro, con il suo volto che non si può possedere e la cui traccia è inafferrabile. Allora ritorno alla metafora della preghiera, e ai suoi silenzi, per dire che il dialogo può essere vero, se come in una preghiera riusciamo a “perdere il nostro equilibrio”, cioè la rigidità delle nostre verità, per abbandonarci a Dio che è anche “sottile voce di silenzio”.
Vorrei concludere proponendovi un’altra immagine: quella della tenda. La tradizione ebraica racconta che la tenda di Abramo era aperta a tutti; le nostre chiese non sono tende, quindi non si spostano, ma nella fissità delle loro architetture hanno porte e spero che esse aprano spazi di accoglienza e libertà.
Certo, questa esperienza, appena raccontata non deve farci chiudere gli occhi rispetto alle difficoltà che le relazioni con il mondo islamico presentano. Prima facevo riferimento al diffondersi dei fondamentalismi. Un fenomeno che non riguarda solo questa o quella tradizione religiosa, ma purtroppo le attraversa tutte. Questo rende ancora più delicato e complesso il dialogo o quello che si vuole provare ad avviare. Gli scenari internazionali, attraversati da conflitti cui non sono estranei usi strumentali delle tradizioni di fede, soprattutto quelle monoteiste, la violenza che si sprigiona in alcuni punti critici dello scacchiere del mondo islamico, sono lì a testimoniare che la strada da percorrere è ancora lunga. Ma senza ipocrisia e senza semplificazioni, forse, vale la pena di percorrerla.