17-jazzdi Renato Maiocchi

 

Correva l’anno 1979. Il 26 gennaio viene diffusa fra le chiese battiste metodiste e valdesi una “nota informativa”, un semplice documento dattiloscritto, disadorno, senza alcuna pompa. Eppure, il tesoro contenuto in questo vaso di terra avvia una svolta epocale nella storia delle nostre chiese. Porta la firma di tre presidenti, Piero Bensi per l’Unione battista, Sergio Aquilante per la Conferenza metodista e Aldo Sbaffi per la Tavola valdese. A nome dei propri esecutivi essi scrivono, fra l’altro: «Le nostre tre denominazioni sono accomunate da un’unica vocazione ed hanno un compito unico: evangelizzare gli italiani sulla base degli irrinunciabili fondamenti teologici posti dalla Riforma […] Le nostre chiese, fin dall’inizio della loro opera di evangelizzazione in Italia, hanno avuto la percezione di essere espressione diversificata di un’unica comunità di testimonianza, che in tempi più recenti si è manifestata attraverso le iniziative del Consiglio Federale, della FCEI, della FGEI, della FDEI e delle federazioni regionali. L’attuale situazione della vita spirituale del nostro paese pone però problemi nuovi nel campo della partecipazione delle nostre chiese ad un’attività comune. Sembra quindi urgente che il nostro lavoro comune entri in una fase nuova, più impegnativa».

Un progetto di questa portata non può essere affrettato e superficiale. Viene nominata una commissione che per dieci anni, attraverso un continuo scambio commissione-esecutivi-chiese locali prepara la prima «Assemblea Generale dell’Ucebi congiunta con il Sinodo valdese» convocata dal 2 al 4 novembre del 1990 a Roma. Una solida maggioranza approva due decisioni che susciteranno l’ammirato stupore (e persino qualche perplessità per la loro audacia) negli ambienti protestanti internazionali: il riconoscimento reciproco dei membri («il Sinodo e l’Assemblea […] invitano le Chiese battiste a ricevere a pieno titolo fra i loro membri i metodisti e i valdesi e le Chiese valdesi e metodiste i battisti, ciascuno conservando la propria qualifica denominazionale, sulla base della comune professione di fede evangelica») e il riconoscimento reciproco dei ministeri («invitano le Chiese battiste ad accogliere il servizio di fratelli e sorelle pastori, predicatori e diaconi metodisti o valdesi e le Chiese metodiste e valdesi quello di sorelle e fratelli pastori, predicatori e operatori diaconali battisti sulla base di una comune concezione dei ministeri nella Chiesa»).  L’emozione per questo traguardo trabocca nel documento finale: «Che cosa succede sotto i nostri occhi? Di quale evento siamo, allo stesso tempo, attori e spettatori? È un incontro che, in questa forma, non è mai accaduto prima nel nostro paese. È un novum nella storia dell’evangelismo italiano. È una primizia».

La modalità prevista per il reciproco riconoscimento mostra che è stato accolto da tutti uno dei capisaldi dell’identità battista e cioè il ruolo fondamentale della chiesa locale. È lei che accoglie un fratello o una sorella che mantiene la sua qualifica denominazionale e lo inserisce fra i suoi membri ad ogni effetto, compreso l’elettorato attivo e passivo.

I primi frutti si colgono già in questa assemblea, come la nomina del gruppo di lavoro per la predisposizione del settimanale comune, che si chiamerà Riforma e l’impegno alla collaborazione territoriale, cioè alla distribuzione delle forze pastorali secondo le necessità locali, indipendentemente dalla denominazione alla quale appartiene il ministro.

Nel contempo l’Assemblea-Sinodo, con grande onestà, non nasconde che l’avvenuto reciproco riconoscimento lascia due importanti questioni irrisolte: il battesimo dei fanciulli e la struttura sinodale. Ma il cammino è iniziato: sulla questione ecclesiologica si concentrerà la seconda Assemblea-Sinodo, nel 1995, mentre sul battesimo dei passi avanti sono stati fatti verso una comune comprensione del percorso di fede, che nella prassi battista ha il suo fulcro nel battesimo dei credenti mentre nella prassi valdese e metodista prevede una successione di tappe che in qualche modo tuttavia, alla fine ricompongono il quadro di una personale confessione di fede.

Il cammino verso una sempre maggiore collaborazione proseguirà poi con le successive Assemblea-Sinodi congiunti, convocati finora a intervalli di 5-7 anni, ma soprattutto attraverso il progressivo passaggio da iniziative separate a iniziative comuni. Così, col tempo, nello spirito di quello che ormai abitualmente chiamiamo il «BMV» abbiamo avuto, per fare solo qualche esempio, oltre al giornale unico e alla collaborazione territoriale, la Commissione permanente BMV per la formazione pastorale, l’ingresso dell’UCEBI nella s.r.l. Claudiana, la Commissione culto e liturgia, la Commissione relazioni ecumeniche; ma anche, una parola comune e una strategia condivisa su questioni come l’accoglienza delle persone omosessuali, la laicità dello Stato, la giustizia economica, il lavoro con i migranti.

Per altro verso, è giusto riconoscere che nel corso di questi 17 anni non sempre sono state sfruttate le potenzialità dischiuse dalla spinta propulsiva iniziale. Si potrebbero citare alcune mancate occasioni di «bmvuizzare» strutture intermedie, come per esempio il ministero battista della musica e la facoltà valdese e constatare una piuttosto limitata applicazione della collaborazione territoriale.

A maggior ragione, guardando oggi alla situazione delle chiese e alla situazione del paese appare più che attuale la visione che ispirò i tre presidenti nel 1979: rispondere insieme, unendo tutte le nostre forze, alla comune vocazione.