“Sia che vegliamo sia che dormiamo, viviamo insieme con lui”
1 Tessalonicesi 5, 1-11
L’apostolo Paolo scrive ai credenti di Tessalonica sul tema del ritorno del Signore Gesù previsto per la fine dei tempi. Nel cristianesimo primitivo l’attesa del ritorno di Gesù è vissuta con grande trepidazione. Lo stesso apostolo Paolo pensa che Gesù sarebbe ritornato mentre egli era ancora in vita.
Ma perché Paolo interviene su questo argomento così delicato? Sembra che a Tessalonica molti credenti si fossero rattristati per la morte di alcuni membri della locale comunità. Ciò aveva procurato dolore e forse qualche perplessità. I credenti di Tessalonica non ignorano affatto la predicazione della resurrezione, ma sono assillati da una domanda: cosa accadrà a coloro che si sono addormentati nella fede? Torneranno in vita? Avranno comunione eterna con il Signore Gesù quando Egli tornerà?
L’apostolo Paolo deve affrontare una questione non secondaria e allora interviene per infondere loro coraggio e speranza e lo fa a partire dalla croce, dalla morte e resurrezione di Gesù. Paolo ha già ricordato ai Tessalonicesi che i credenti non devono essere tristi come quelli che non hanno speranza perché “Se crediamo che Cristo morì e resuscitò, crediamo pure che Dio, per mezzo di Gesù, ricondurrà con lui quelli che si sono addormentati” (4, 14).
Nel giorno finale, nel «caro ultimo giorno», come ama chiamarlo Lutero, lo scenario che l’apostolo delinea è il seguente: “… Prima resusciteranno i morti in Cristo; poi noi viventi, che saremo rimasti, verremo rapiti insieme con loro per incontrare il Signore nell’aria; e così saremo sempre con il Signore. Incoraggiatevi dunque gli uni gli altri con queste parole” (4, 16-18).
Se l’animo dei Tessalonicesi è profondamente turbato per le morti che si sono verificate, l’apostolo con tono pastorale ricorda loro che se Gesù è resuscitato anche i credenti risorgeranno. Eppure questa parola non ha rassicurato i Tessalonicesi, i quali vogliono conoscere la nuova realtà che ancora deve venire. È la curiosità per il «momento finale».
E il momento finale per molti ebrei è l’invio del Messia, del Cristo da parte di Dio. In merito Paolo non ha dubbi: il Messia inviato da Dio è Gesù. Ciò significa che in lui il giorno del Signore sta per arrivare.
Ma Gesù non era ancora tornato!
La curiosità dei Tessalonicesi di conoscere il momento della fine si spinge ben oltre: essi vogliono addirittura sapere i tempi del ritorno di Gesù, e sperano che su questo punto Paolo li possa illuminare. Ma chi può conoscere il giorno o il momento preciso del ritorno di Gesù? Gesù stesso aveva avvertito i suoi che “quel giorno nessuno lo conosce, neanche gli angeli del cielo, neanche il Figlio, ma solo il Padre celeste” (Matteo 24, 36). Il Signore –ricorda l’apostolo – “verrà come viene un ladro nella notte” (v.2). L’invito è, dunque, di vigilare nella preghiera e nella costanza della fede.
Il ritorno del Signore Gesù avverrà in modo improvviso e inaspettato. Paolo rincuora i credenti di questa giovane chiesa, dicendo che, nonostante la manifestazione notturna del Signore, i credenti non devono temere le tenebre poiché essi sono figli del giorno e della luce. Coloro che si sono lasciati illuminare dalla luce di Cristo non soccombono alle tenebre della notte. I credenti non devono temere il giudizio come coloro che non credono e che dormono di notte, impreparati per la venuta del Signore, o che sciupano il tempo senza alcuna preoccupazione per l’arrivo di Gesù.
Ed ecco che Paolo infonde ottimismo nei sui interlocutori. Ma qual è il fondamento di questo suo ottimismo?
È l’intervento salvifico di Dio, che non ha destinato i credenti alla collera ma a quella futura salvezza che si avrà quando Gesù tornerà. E nonostante il suo ritorno sia atteso per il futuro, la salvezza ha già avuto inizio per la sua opera di redenzione: “Gesù è morto per noi” (v.10), ricorda l’apostolo, per la nostra salvezza e per donarci la vita eterna.
A differenza dei Tessalonicesi Paolo non è preoccupato per le circostanze della vita. La morte non può separarci dal nostro Signore: “Sia che vegliamo sia che dormiamo, viviamo insieme con lui” (v.10).
L’insegnamento di Paolo ha sicuramente ispirato la domanda e la risposta di uno dei più significativi catechismi del Protestantesimo riformato, quello di Heidelberg. Al punto 1 si chiede: “In che cosa consiste la tua unica consolazione in vita o in morte? Nel fatto che con il corpo e con l’anima, in vita o in morte, non sono più mio, ma appartengo al mio fedele Salvatore Gesù Cristo”. Questa è la speranza che Paolo offre ai Tessalonicesi. Questa è la speranza che anima la nostra fede: “O che viviamo o che moriamo, noi siamo del Signore”.
Allora è dolce la visione che attende i credenti quando “Vedremo faccia a faccia Dio e non più a distanza” (1 Corinzi 13,12). Il Signore non sarà più come un pellegrino che si trattiene per un solo istante, ma ci sarà rivelato per tutta l’eternità nel seno della sua gloria: “Egli abiterà con loro, essi saranno suoi popoli e Dio stesso sarà con loro e sarà il loro Dio” (Apoc. 21,3). Quel giorno sarà giorno di letizia e di liberazione e non di distruzione. Il giorno del Signore non è quello oscuro abisso nel quale tutto precipita, né il black aut di cui parlano i profeti di sventura. La fine è un incontro, l’inizio della nuova creazione del mondo nel quale anche l’essere umano ritorna e ritorna come essere umano trasformato per vivere in comunione eterna con il suo Signore Gesù.
“Colui che attesta queste cose, dice: Sì vengo presto! Amen! Maranatà! Vieni Signore Gesù” (Apoc. 22, 20).