maffeiAnna Maffei

 

Questa testimonianza di Anna Maffei riprende da quella che mi dette per “Voci di donne” (Claudiana 1999), il primo volume delle 100 interviste alle pastore, diacone, laiche, “mogli di pastore” delle varie comunità evangeliche italiane che raccolsi per il Decennio ecumenico di solidarietà delle chiese con le donne. Lì Anna mi narrava il percorso della sua formazione e della complessa conversione alla fede, da una famiglia molto cattolica a una sua personale posizione “consapevolmente agnostica”, poi l’incontro con il Signore, gli studi teologici a Rueschlikon, il matrimonio con Massimo Aprile, i primi anni di pastorato in Molise, poi in Puglia, a Gioia del Colle e Santeramo, mentre il marito era pastore a Mottola, e intanto la maternità con la nascita di Emanuele e Andrea, la venuta di Anna in affidamento e una cara zia di cui prendersi cura: «Il Signore mi ha aiutata, e anche le sorelle e la comunità: ho sempre trovato aiuto – mi diceva –. Io concepisco il ministero pastorale come ministero globale della comunità, si è pastori gli uni degli altri: la cura deve essere condivisa da tutti».

Quell’intervista si era svolta a Napoli, dove Anna e Massimo erano tornati a curare la chiesa di via Foria, in cui da giovani era maturata la loro conversione. Anna allora era anche vicedirettora per il centro-sud del settimanale evangelico Riforma e vicepresidente dell’Unione Cristiana Evangelica Battista (Ucebi), e di lei avevo rilevato i molteplici doni, non solo pastorali, ma anche giornalistici, e “politici e gestionali”. «Siamo stati a Napoli fino al 2004 – mi aggiorna ora lei – condividendo con Massimo, che era anche cappellano all’Ospedale Evangelico, la cura della comunità: tendenzialmente abbiamo sempre lavorato insieme, anche in sedi diverse, condividendo i nostri doni: io sono un po’ l’organizzatrice, lui, il creativo! La chiesa ci ha dato una grande libertà: abbiamo fatto sperimentazioni liturgiche, lavorato con gli adolescenti, partecipato al coro diretto da Carlo Lella ‘Ipharadisi’, con cui abbiamo fatto evangelizzazione e testimonianza, e partecipato a Graz alla II Assemblea Ecumenica Europea. La foto del nostro coro è entrata negli annali dell’Assemblea ecumenica! È stato un bel periodo, lo ricordo con nostalgia…».

Poi dal 2004 al 2010 Anna è stata eletta presidente dell’Ucebi, e si è trasferita a Roma con la mamma e con il figlio Andrea che studiava in Facoltà di teologia, mentre Massimo dopo due anni è stato eletto pastore a Civitavecchia. «Il compito di presidente è estremamente impegnativo – dice Anna, la prima donna a ricoprire quest’importante incarico – devi viaggiare molto; la mia elezione è stata molto tormentata, perché, essendo stata vicepresidente, tutte le critiche rivolte al Comitato esecutivo in anni difficili, di pesante indebitamento e di scelte dolorose, mi hanno investito; la mia presidenza è dunque nata in salita. Ho interpretato il mio ministero secondo le mie inclinazioni e capacità: ho chiesto e ottenuto tanta collaborazione, ho sempre cercato persone competenti che potessero servire l’Unione in vari settori. Ho sviluppato l’ambito internazionale; negli ultimi quattro anni di presidenza ho partecipato al Comitato esecutivo della Federazione battista europea, di cui sono stata nominata responsabile per le relazioni esterne. In un ambiente in cui c’erano tante chiese conservatrici, io per loro ero una radicale, quasi un’estremista…! Anche perché non ho mai nascosto le mie idee – sorride Anna – ho fatto le mie battaglie e, anche se a volte le ho perse, ho ricevuto comunque attestati di stima da tanti. Ho partecipato ai Consigli generali dell’Alleanza mondiale battista, e se c’era da prendere la parola su qualcosa che stava a cuore a noi battisti italiani, lo facevo: che importa, siamo abituati in Italia ad essere minoranze!».

L’aspetto internazionale è stato senz’altro una caratterizzazione della presidenza Maffei, con varie iniziative di partnership: «Con la Lott Carey, rete di chiese battiste afroamericane, abbiamo portato avanti il progetto biennale di integrazione e resistenza ai razzismi ispirato a Martin Luther King, culminato con la celebrazione dei 40 anni dalla sua morte, il 4 aprile del 2008 nella Piazza del Campidoglio. Nel frattempo era nato un progetto di solidarietà con le Chiese dello Zimbabwe che dura fino ad oggi con adozioni a distanza, il sostegno ad un ospedale e sei ambulatori rurali e varie altre iniziative per lo sviluppo. Abbiamo co-organizzato una Conferenza mondiale dei battisti per la pace, che si è svolta a Roma nel 2009, con oltre 350 partecipanti provenienti da tutto il mondo. Infine c’è stata l’organizzazione dell’Assemblea della Federazione battista europea, che è stata un’occasione preziosa per far conoscere la creatività che la nostra Unione esprime in ambito liturgico e musicale. Insomma, ci sono stati tanti momenti belli, in cui il mondo battista italiano si è aperto a relazioni significative con battisti di altri paesi ma ha anche mostrato attenzione a temi oggi cruciali come l’interculturalità, la lotta al razzismo e alle discriminazioni e la costruzione responsabile di percorsi di pace».

Qual è il giudizio che dai in sintesi sulla tua presidenza? «Sono stati sei anni di lavoro intenso, di riordino interno, di cose anche difficili da decidere, ma non sono mai stata sola, molte persone hanno dato con me tempo, energie, competenze; gli uffici dell’Unione mi hanno dato un supporto grande: non mi sono mai risparmiata, e neanche gli altri!».

Poi, come è negli usi delle nostre chiese democratiche «Sono tornata a fare la pastora – dopo un mese di sabbatico, negli Stati Uniti e uno nello Zimbabwe, un necessario momento di decompressione – ed ora sono pastora a Firenze di una bellissima chiesa multietnica. Mio marito continua il suo ministero a oltre 300 km. di distanza…». Una vita di nuovo non facile, piena di viaggi: «Io collaboro con lui una settimana al mese a Civitavecchia, e lui con me a Firenze; con il permesso delle chiese ci siamo organizzati così – commenta sorridendo –. Mia mamma vive con me, mentre la famiglia, a distanza, cresce, e oggi abbiamo già quattro nipotini…». Le domando come fa a gestire una vita tanto complicata: «Beh, si può… anche se – aggiunge con un sospiro – mi piacerebbe tanto vivere nella stessa casa con mio marito… è mica una cosa dell’altro mondo, in definitiva!».