giorgiLidia Giorgi

 

Perché ho sempre voluto così bene a Lidia Giorgi? Pensavo mentre scrivevo quest’intervista. Eppure non è che ci conosciamo molto, che ci siamo parlate molto, che abbiamo ricordi in comune, salvo alcuni corsi di aggiornamento delle pastore. L’ho conosciuta quando doveva venire come pastora a Torino, e io ero contenta di avere quella che immaginavo una quasi-coetanea (e invece molto più giovane, ho scoperto!) a cui fare riferimento, ma questo poi non accadde, con mio dispiacere.

Lidia è esile, delicata, con l’apparenza fragile, ma in realtà dotata della forza della sua grande fede e sincerità con se stessa. All’inizio della nostra intervista dice subito il suo sentimento: «Ho un po’ di reticenza», ma poi offre la sua vita con semplicità e apertura, così come ha fatto nel bellissimo intervento di cui mi dà copia “Restare presenti in tempo di crisi”, edito da Cipax strumenti di pace. In esso Lidia elabora il concetto di crisi come “opportunità, come crescita”, e lo fa esistenzialmente “partendo da sé”, secondo il detto originario del movimento delle donne, e sviluppando l’importanza dell’attesa come percorso di trasformazione.

La sua è subito una riflessione biblica, una lettura personale di Luca 13, 10-17, quando Gesù guarisce la donna malata, ricurva, “che non poteva in nessun modo stare dritta”: «Quella donna ero anche io! Sono io!», esclama Lidia. E ci fa ripercorrere le sue difficoltà del vivere che ci rendono così vicine, tutte, e che in lei si erano manifestate in una neurodermite che – come le disse un suo bravo medico tra i tanti inutilmente consultati – deturpava di macchie di acne rosacea la sua delicata carnagione di bionda, cosìcché la sua sofferenza lontana, dai nodi irrisolti «gliela si leggeva in faccia: perché il volto è lo specchio dell’anima».

Quante di noi hanno avuto il coraggio di andare in fondo alle loro difficoltà sviluppando una non comune capacità di ascolto e di verità nei rapporti umani, e questo è prezioso in particolare per chi dedica la sua vita al difficile mestiere pastorale. Alla fine di quel suo intervento, Lidia scrive: «Sono una pastora evangelica. Sono quello che sono, non un altro/a. Il cammino è sempre personale». Certamente, ascoltando la sua testimonianza, ho pensato più volte che forse Lidia ha preteso troppo da se stessa, dalle sue forze di ragazza cresciuta, come si suole dire “a pane, Bibbia e inni ”: «Io ho risposto giovanissima, a 16 anni, alla chiamata del Signore, e sono stata battezzata; poi a 19 ho iniziato il percorso di studi in teologia presso il seminario di Rueschlikon. Sono nata a Firenze in una famiglia battista, e ho avuto come monitrice la bravissima Stefania Fuligno, moglie del pastore, e in famiglia l’influenza di un fratello di mia madre, lo zio Fortunato, divenuto poi pastore delle Chiese libere. Lui ha avuto cura di me: mi regalò la prima Bibbia, arrivava con libriccini di evangelizzazione adatti all’infanzia… Ho dei bei ricordi: con la poesia dei bambini rivivo dei momenti, la festa dell’Albero, risento il rumore dei miei piccoli passi nella chiesa di Borgo Ognissanti, rivedo il pulpito col cielo azzurro e le stelline dorate… Da bambina alla fine del culto, il mio compito era di mettere a posto gli innari, tutti in fila, con le costole allineate… Poi più tardi da adolescente il pastore Piero Bensi mi ha coinvolto con gli altri giovani, e ho fatto parte con Blasco Ramirez, non ancora pastore, dei “Campus Crucede for Praise” (“Studenti italiani per Cristo”, d’impronta evangelicale, come i GBU, i gruppi biblici con il compito di annunciare Cristo agli studenti universitari). Questa è l’esperienza che mi ha portato alla decisione del battesimo, e in quel momento ho desiderato di studiare la Bibbia, e di servire il Signore», dice con semplicità.

Lidia si sposa a 20 anni, e va a studiare a Rueschlikon: «Ero troppo giovane per il matrimonio – dice – non ero matura, negli anni siamo diventati diversi, e non riuscivamo più a comunicare emotivamente». Osservo che questo succede spesso alle coppie che si sposano troppo presto. «Sì – dice con la consueta spontaneità Lidia – ma non sei preparata al fallimento, pensi che durerà per sempre. Eppure – riflette umilmente – è proprio dalla fallibilità che c’è da imparare qualcosa di diverso, è come una scuola che ti insegna il rapporto con l’altro, con chiunque altro; fallendo si matura, ma è un percorso difficile. E il mio percorso professionale s’intreccia anche con la mia storia psicologica».

Lidia ha rappresentato, con Elizabeth Green e Anna Maffei, il gruppo delle tre prime studentesse – pioniere italiane della Facoltà di teologia battista: «Io sono poi diventata la più giovane pastora, a 23 anni: nel mio anno di prova a Marghera ho avuto tanti problemi, non in quanto donna, ma in quanto giovane e inesperta». Lidia come tutti i pastori negli anni seguenti si sposta: a Ferrara – dove nell’89 nasce il figlio Gioele – poi a Rovigo: «Anni molto belli e fattivi – dice – lì si è costituita una chiesa multietnica, con 15 comunità, c’era una scuola domenicale numerosissima, con una quarantina di bambini, e il gruppo delle donne». Poi si scioglie di fatto il matrimonio, e nel 2008 Lidia va a Livorno, che cura ancora oggi dopo essersi trasferita a La Spezia. «Sento molto il lavoro con le donne nella chiesa: partire da sé, e confrontarsi con la Scrittura: le persone si aprono, parlano, si fa un percorso importante di interrelazione, e questo favorisce una migliore comprensione della Scrittura. Ho fatto anche un lavoro di traduzione ‘Spiritual autobiography’ di Richard Peace, che sarà messo sul sito dell’Ucebi, sto attendendo l’autorizzazione dalla casa editrice americana. Sì, mi piace molto lavorare con le donne, questa è stata già una scoperta che feci da studentessa di teologia con Elizabeth e Anna: le donne nella Bibbia, le loro figure, la loro presenza. Lavoro volentieri col Movimento femminile battista, anche con scritti e raccogliendo testimonianze: il tempo è quello che è – sorride con uno sguardo al futuro – ma presto il materiale che sono riuscita a elaborare sarà disponibile».