PieraPiera Egidi Bouchard

Cosa volevo fare da bambina? La fioraia – rispondevo – o la parrucchiera. E poi giocavo a fare l’esploratrice: ma in ogni tempo la mia identità profonda è stata quella di scrittrice. Poi tutta la vita e con molto amore ho fatto anche l’insegnante, ma se a vent’anni mi avessero detto che sarei diventata evangelica, che avrei sposato un pastore valdese e che sarei stata pastora locale battista, avrei detto che erano pazzi!

Sono l’unica evangelica della mia famiglia, in cui ho avuto le più varie influenze laiche e religiose, anche se cresciuta nel cattolicesimo. I miei erano molto “bene”; io li ho contestati, come tutta la mia generazione sessantottina. Dal punto di vista religioso, poi, altre contraddizioni: io ho sempre pregato, da piccolina di nascosto di notte leggevo il Vangelo. Poi ho studiato filosofia: sono diventata kantiana.

Nel ’70 mi sono laureata: da agnostica in “Filosofia della Religione”, con una tesi teologica, e ho subito cominciato a insegnare: italiano e storia alle Superiori. Con la stessa intransigenza sessantottina, ho vissuto in una comune, sono diventata femminista, e nel ’74 mi sono iscritta al Pci (negli anni ’60 al Psi) e contemporaneamente mi sono sposata con un giovane artista. Dopo un anno, è finita “a piatti in testa”, a causa della mia dogmatica femminista, e abbiamo divorziato. Tutto questo è stato vissuto in maniera non indolore, e così pure i successivi fallimenti sentimentali: sbagliavo sempre tutto, e questo mi ha portato a iniziare una lunga psicoanalisi. Quando a Torino in pieno terrorismo si uccideva nelle strade, ho avuto una crisi profondissima, perché l’anelito alla giustizia per cui aveva lottato la mia generazione si rovesciava nella somma ingiustizia della violenza e della morte.

Dal ’76 avevo inventato una rubrica – “La desinenza in a” – sulla rivista fondata da Diego Novelli “NuovaSocietà” e intervistavo le donne che facevano un lavoro insolito; così le sorelle Scroppo, valdesi, mi fecero incontrare Giuliana Gandolfo, pastora a Torino. Fu lei che mi invitò a seguire alcune conferenze sui grandi teologi del ‘900. Così poi andai ai corsi biblici e poi anche al culto. Ci misi sette anni di tormenti: infine nel 1986, a quarant’anni, feci pubblica dichiarazione di fede nel tempio valdese di Torino: “Gesù è il Signore e dà la vita”, scelsi. Era una nuova nascita nello Spirito. I miei amici e amiche, uno più ateo dell’altro, vennero al culto, con molta empatia! Mio padre fu contento, perché era amico di molti valdesi e mia madre, cattolicissima, pur con una nonna ebrea, tirò un respiro di sollievo: meglio valdese che atea!

Intanto avevo cominciato a scrivere di critica letteraria sulle pagine culturali dell’Unità, ma non c’era più nessuno che seguisse il Sinodo valdese, così la past. Gandolfo mi chiese se potevo andarci io. ‘Non è possibile!’ le risposi, perché in un grande quotidiano si lavora per settori specialistici; però poi mi dissi: ‘poveri valdesi, li hanno perseguitati per secoli…’. E così ci andai e seguii il Sinodo per 25 anni!!! Conobbi tanti credenti che vivevano la loro fede nella democrazia e anche quello che sarebbe diventato mio marito, Giorgio Bouchard: per me fu amore a prima vista, ma solo quando lui anni dopo visse la fine del suo primo matrimonio, cominciai ad esistere nella sua vita, e nel ’90 chiesi il trasferimento e andai a Napoli – chiesa valdese di via dei Cimbri, a cui siamo ancora molto legati –, dove iniziò per me l’esperienza di “moglie di pastore”, ruolo “all’antica”, che è stato senza propormelo un training al pastorato. E nel Sud scoprii anche il lavoro sociale e culturale dei metodisti e la spiritualità battista, che si esprimeva nei gospel della corale di via Foria, a cui subito mi iscrissi… Nel ’94 tornammo a Torino, e la Tavola affidò a Giorgio la chiesa valdese di Susa – una comunità bellissima – che tenemmo per 13 anni. Quando andai in pensione da scuola, mi iscrissi alla Facoltà valdese di Teologia, ma Giorgio si ammalò gravemente e io dovetti smettere, e… fare l’infermiera.

Fu in quella triste situazione che una sera squilla il telefono: “Sono Maddalena, della chiesa battista di Meana, verrebbe a predicare da noi?”. “Predicare? Io? No, assolutamente!”. “Oh – disse lei con la sua vocina – noi siamo pochi, anziani quassù, quando non c’è nessuno che predica ci leggiamo un salmo!”. Le mie viscere si straziarono, e mi dissi: beh, ho spiegato tanti anni la Divina Commedia, potrò anche spiegare una pagina del Vangelo! Così ogni sabato facevo la “prova generale del sermone” con il severissimo mio coniuge, e la domenica pomeriggio, dopo Susa andavamo a Meana.

Dopo 4 mesi, le cinque anziane meravigliose donne del consiglio di chiesa mi dissero: “Domenica prossima noi facciamo l’assemblea”. Bene, dissi io, che ignoravo il congregazionalismo battista. Quando arrivammo in chiesa, la trovammo stracolma di rappresentanti delle comunità della valle; alla presidenza Roberto Russo (presidente Acbp) e il past. Emmanuele Paschetto – del CE – il quale, con tipico humour battista aprendo un libro disse a Giorgio: “Anche noi abbiamo i nostri regolamenti: ordine del giorno: elezione del pastore!”. “Esci!”, gridò Giorgio portandomi di corsa fuori del tempio “eleggono il pastore!” e in un secondo, quegli anziani alzarono la mano e io… mi trovai eletta pastora!

Fu uno choc terribile, somatizzai, e zoppicai per 6 mesi perché mi dicevo: “Ho lottato con l’Angelo e non lo sapevo!”. Iniziò così una storia straordinaria, (con anche due anni di supplenza a Valperga – tante care persone – e in contemporanea il Comitato Esecutivo, altro scherzetto delle donne battiste, che mi convinsero…). Alla fine per i troppi impegni credevo di prendermi un infarto, e non mi ricandidai. Sono una pastora locale battista in emeritazione, e l’incarnazione del BMV!

Il pastorato è stata un’esperienza straordinaria, e parteciparono ogni sorta di amici laici, cattolici, evangelici, che convogliai nelle più varie iniziative dell’Estate meanese, con la “Giornata gobettiana” dedicata ad Ada Gobetti, che a Meana ebbe la casa e fece la Resistenza. Le anziane meravigliose della mia chiesa furono sempre con me in tutto, fino alla morte improvvisa di Maddalena, che era il cuore della comunità, e che determinò un profondo lutto, anche in me. Io sono molto grata di quanto ho ricevuto dalle varie chiese, e dal mondo battista per le precise vocazioni che mi ha rivolto; dico sempre: i valdesi ti chiedono: hai fatto tutti i corsi di nuoto? I battisti ti buttano in mare e ti dicono: vai! Ho ricevuto tanta forza, tanta solidarietà, tanta spiritualità. E sono andata, come potevo, perché “Vai, con questa forza che tu hai” (Giudici, 6, 14).