heleneHelene Fontana

 

Helene – nome dalla dolce musicalità nella versione nordica – è una giovane donna serena e interiore, dalla figura alta e longilinea, come lineare sembra essere stata nel raccontarsi, la sua vita. Nelle sue parole, dalla cadenza straniera – lei è danese – risuona molte volte il termine «tranquillo, tranquillità»: eppure, nei quarant’anni della sua esistenza di scelte e cambiamenti deve averne fatti un bel po’, se ora la ritroviamo qui tra noi, in Italia, sposata a un altro pastore, ambedue attivi nelle chiese del torinese. «Fontana, oramai quello è il mio nome per la legge danese – dice con un sorriso quando le chiedo il cognome da ragazza – e poi nessuno qui riesce a scrivere bene il mio nome danese!». Cosa si proverà, penso, ad avere lasciato da tanti anni la propria terra fino ad accettare serenamente che nessuno sa pronunciare il tuo cognome di nascita?

Helene nasce da una famiglia materna battista da tre generazioni, mentre quella paterna è luterana: «In Danimarca quasi tutta la popolazione è luterana nominalmente, come qui in Italia cattolica: vanno in chiesa per i battesimi, matrimoni e funerali… Ma naturalmente c’è anche chi è invece coinvolto nella vita della chiesa. Io ad esempio da bambina sono stata mandata alla scuola domenicale della chiesa luterana, vicina a casa nostra. Non mi ricordo un tempo in cui non credevo, sono cresciuta nell’ambito ecclesiastico, e man mano che crescevo negli anni, crescevo anche nella fede. È stato un percorso di maturazione tranquilla. Poi, finito il liceo, dovevo capire cosa scegliere all’università (in Danimarca in molti si prendono un anno o due per decidere), e io ero indecisa, pensavo alla letteratura o alla teologia, e intanto dovevo trovare qualcosa per fare delle diverse esperienze. A me sarebbe piaciuto fare dei viaggi, conoscere altri paesi, e allora il mio nonno materno, che era molto coinvolto nella vita delle chiese battiste, anche a livello internazionale, e che era stato a Rueschlikon per delle conferenze, mi disse: “Perché non vai lì a fare volontariato, ci sono tanti giovani…!”. Così ci andai, a lavorare sei mesi come volontaria in biblioteca: ho conosciuto l’ambiente, gli studenti che venivano da tanti paese diversi e… Stefano, che studiava lì teologia. E ho preso la decisione del battesimo e di iscrivermi anch’io alla Facoltà. Sono stati anni molto importanti per me, non solo per gli studi, ma anche per i rapporti con tante persone di paesi diversi, con molte delle quali sono ancora in relazione. Finiti gli studi – l’ultimo anno l’ho fatto alla Facoltà teologica di Praga, perché il Seminario di Rueschlikon vi si era traslocato – ci siamo sposati, a Copenaghen, e poi siamo venuti in Italia, a Genova, perché Stefano doveva fare i suoi due anni di prova».

E tu dove sei andata a fare la tua prova? Le chiedo: «Io non avevo ancora fatto la domanda per il pastorato – precisa lei – perché non parlavo l’italiano; quando ero stata in Svizzera, mi ero già iscritta a una scuola serale per sapere qualche parola, ma il grosso degli studi li ho poi fatti a Genova, dove ho frequentato un corso, organizzato dall’Università per stranieri di Siena. Certo, l’italiano è una lingua molto diversa dal danese, ma le lingue mi sono sempre piaciute: avevo fatto il liceo linguistico. Ma ci è voluto un po’ di tempo per sentirmi a mio agio… Ho provato a leggere la letteratura italiana, ma ci vuole molta competenza linguistica; però – dice con humour – ho letto tutto Camilleri, mi piace moltissimo!». Camilleri? Mi stupisco io: è stato difficilissimo anche per me, che pure lo amo molto! «Oh – dice lei tranquilla – ma se entri nei meccanismi della lingua, dopo i primi tempi è comprensibile! Io se entravo in un ufficio postale, nei primi tempi che ero in Italia mi sentivo nel caos; poi mi sono adattata, penso. Devo dire che sono anche stata fortunata, perché, arrivando subito in una comunità, mi sono trovata in un ambiente amico. A Genova, dopo due anni ho dato questo esame linguistico e poi ho fatto la domanda all’Ucebi. Ma non c’erano posti in Liguria in quel momento per due pastori, e così, siccome in quel momento il pastore di Varese si era trasferito negli Usa, noi siamo stati eletti insieme tutti e due a Varese; Stefano anche a Bollate, e io sono stata destinata nei due anni di prova anche a Lugano “in prestito” dall’Ucebi alla chiesa di lingua italiana». E lì infatti l’avevo incontrata una volta che con mio marito Giorgio Bouchard eravamo stati invitati per conferenze a Lugano, e la domenica eravamo andati al culto…

Anche a Varese eravamo andati più volte, invitati dal “Centro culturale evangelico D. Bonhoeffer”, allora presieduto se ben ricordo da Doriana Giudici e Liliano Frattini. Quanti intrecci nelle nostre vite! «A Varese ci siamo rimasti 10 anni, e lì ho avuto le mie due bambine; io ho iniziato un periodo di prova nel ’98, e sono stata confermata pastora nel 2000 con culto di consacrazione a Varese. Negli ultimi anni sono stata pastora a Rivoli, ed ora da un anno e mezzo faccio parte dell’esperimento del team pastorale del torinese, che coinvolge sei chiese». Qual è la tua esperienza come donna pastore: «A volte ho trovato persone che non riconoscevano il pastorato femminile, ma non tanto nelle comunità, anche se per esempio ho scoperto – dopo – che a Varese è successo che  alcuni membri di chiesa mi accettavano perché ero insieme a mio marito… Non ho però mai avuto grosse difficoltà. Col tempo sono cambiata anch’io, ho imparato a fare tante cose che pensavo di non saper fare: per esempio, è stato difficile riuscire a parlare in pubblico! Ho imparato anche a lavorare coi bambini, che ora è il mio settore nel team, e devo dire che avendo con loro anche le mie figlie, è un aspetto che mi piace molto. Mi piace anche nel culto preparare la liturgia, e scrivere le pagine bibliche di “Fede e spiritualità” per il settimanale Riforma; da tre anni poi faccio parte del Dipartimento di teologia, e da quest’anno ho partecipato allo svolgimento  della scuola Asaf per la formazione dei nuovi ministeri: tutti impegni che richiedono tempo e lavoro, ma che mi piacciono e coinvolgono»

E con due bambine e un marito pastore, come te la cavi? «Oh – sorride lei – è un po’ faticoso, ma è una questione di organizzazione!».