nido prematuroa cura della redazione

Da una parte ci sono genitori, soprattutto le madri, che attraversano la cosiddetta «sindrome del nido vuoto», e dall’altra ci sono i figli e le figlie che sono nella «fase di lancio», desiderosi d’emancipazione e di indipendenza. Si tratta di un momento molto atteso da entrambe le parte ma anche molto temuto. È un percorso difficile benché sano e necessario: i figli e le figlie si congedano dalle proprie famiglie d’origine per camminare sulle proprie gambe. 

In questo processo di crescita naturale in realtà si nascondono ansie, sensi di colpa, paure, sentimenti di tristezza legati da un lato all’autonomia e alle sue difficoltà, e dall’altro all’assottigliarsi della famiglia d’origine. In questo percorso avviene un duplice processo: i/le figli/e dovranno affrontare nuove sfide, mentre i genitori si troveranno a vivere una nuova e impegnativa fase del ciclo vitale: quella di genitori con figli/e adulti/e.

A volte, però, il nido si svuota prematuramente perché un genitore (o entrambi) lascia il proprio paese in ricerca di lavoro. Ci si trova così non in una fase “naturale” del ciclo vitale ma, come dicono gli psicologi, si vive la cosiddetta «sindrome Italia».

Uno degli effetti negativi dell’immigrazione, sconosciuto e anche consciamente rimosso, è la crescita di un permanente stato d’insoddisfazione, di ansia e di depressione infantile derivate dal sentimento d’abbandono che la partenza di un genitore provoca nei minori. Questi ultimi giornalisticamente sono chiamati «orfani/e con genitori», «orfani/e sociali», «orfani/e bianchi». Alcuni genitori portano con sé i/le loro figli/e all’estero ma la maggioranza, soprattutto le badanti e le colf, non solo lasciano i propri figli in patria ma non riescono a ritornare spesso nel proprio paese per far visita e abbracciare i propri/e figli/e, privandosi della reciproca affettività, e non potendo svolgere le funzioni più importanti della genitorialità quali quella protettiva, normativa, predittiva e differenziale.

 

Negli ultimi anni, oltre 3 milioni di rumeni sono emigrati all’estero, soprattutto in Spagna, Italia e Germania. Secondo l’Unicef circa 360 mila bambini/e avrebbero uno dei genitori a casa mentre 160 mila entrambi i genitori all’estero. Il 16% di questi minori non vede i genitori da almeno un anno e il 3% da più di 4 anni.

Il fenomeno è ovviamente più esteso: colpisce solo in Romania 8 bambini su 10, la maggior parte dei quali si trova nella Moldavia rumena e la metà ha meno di dieci anni.

I/le bambini/e sono vittime involontarie di quest’emigrazione poiché subiscono traumi emotivi e psicologici derivanti dall’assenza dei genitori oltre ad essere i più esposti a violenze e abusi. I/le bambini/e nella loro disperazione cercano in tutti i modi d’attirare l’attenzione dei genitori, rifiutando di mangiare, di parlare e a volte di vivere. Come Monica che, per nostalgia della mamma, è morta in seguito ad un’anoressia nervosa. O come Razvan Suculiuc che a 11 anni, avendo saputo che sua madre non sarebbe tornata per Pasqua, disse ai compagni di scuola: «mia mamma tornerà fra due giorni». Ma poi, fatto ritorno a casa, Razvan si suicidò.

L’assenza dei genitori emigranti ha sulla personalità e sulla salute dei/delle bambini/e rimasti soli/e in patria conseguenze devastanti. Dal 2006 il linguaggio medico utilizza il termine «sindrome Italia» per descrivere una forma di depressione profonda, insidiosa che mette in pericolo la salute, e tante volte la vita stessa, di bambini e delle madri.

La Carta dei diritti fondamentali, con il nuovo trattato di Lisbona, diventa vincolante per l’Europa nella lotta contro ogni tipo di esclusione. Diverse iniziative sono in atto con l’obiettivo di tutelare i diritti dei bambini/e adolescenti e delle mamme in situazione di disagio sociale.

In Italia, l’Associazione donne rumene ha promosso il progetto «Te iubeste mama!» (La mamma ti vuole bene!) che si propone di agevolare la comunicazione audiovisiva gratuita attraverso skype (attivo nelle biblioteche pubbliche che hanno aderito al programma nazionale) tra i bambini rimasti in Romania e i loro genitori che si trovano in Italia per lavoro (www.teiubestemama.it).

Altri progetti come «Nessuno può crescere da solo» cercano di migliorare la vita psichico-emozionale del bambino/a, delle mamme e delle persone che sono rimaste a casa ad accudire i propri figli/e. In questo modo si mantengono in vita i legami naturali, vitali e necessari tra i membri della famiglia, facendo diminuire il rischio di traumi e contribuendo a prevenire situazioni a rischio e di marginalità sociale. In gioco c’è il futuro di tanti bambini e bambine e delle loro madri.

È possibile vedere online il servizio televisivo prodotto dalla Rai «A casa da soli» http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-28da1b8b-7484-4d53-bc73-419e129e68a9.html. Si auspica che simili progetti possano maturare anche nell’ambito delle nostre chiese evangeliche.