di Gabriela Lio
Il perché moriamo è una delle domande, presenti fin dall’infanzia, alle quali cerchiamo di dare risposta. Quando una persona cara muore, i bambini hanno bisogno di essere accompagnati e guidati, tenendo conto dell’età evolutiva che attraversano. La morte di una persona cara comporta un grande impegno emotivo. Gli adulti a volte non si sentono preparati ad aiutare i bambini ad affrontare il lutto. Agevolati dal fatto che la malattia e la morte sono sempre più circoscritte dentro gli ospedali, crediamo che ciò aiuti a tener lontani i nostri bambini dalla sofferenza, e pensiamo che per non coinvolgerli sia sufficiente non esternare i propri sentimenti.
Parlare della morte è diventato sempre più un tabù, invece è essenziale coinvolgere i nostri bambini spiegando loro ciò che significa la morte alla presenza di Dio, e condividere con loro la comprensione della morte e della vita come parte del progetto di Dio. È consigliabile che la parola «morte» sia detta tanto quanto la parola vita, amore, mamma, fiore o giocattolo.
Per parlare di questa esperienza della vita possiamo cogliere le occasioni che il Creato ci offre: quando muore nel giardino un fiore, quando si ammala la propria mascotte, quando la stessa natura si racconta durante le stagioni. I bambini devono sapere che nella vita ci sono situazioni che generano tristezza e che l’inaspettato fa parte della realtà cui tutti e tutte siamo esposti/e.
Parlarne faciliterà la comunicazione, eliminando false interpretazioni e realtà create dalle loro fantasie, e in questo modo saranno pronti per essere consolati nel momento del trauma, quando esprimere il dolore è difficile. I bambini dovrebbero essere informati su cosa sta accadendo in famiglia e dovrebbe esserci qualcuno/a che possa offrire una spiegazione adeguata alla loro capacità di comprensione.
È importante non mascherare la nostra preoccupazione e il nostro dolore per la malattia o la morte di una persona cara; ciò ci aiuterà e aiuterà i nostri bambini e bambine ad affrontare il lutto, allontanando i dubbi sulla dipartita ma anche evitando di far morire i nostri cari senza gli affetti e in solitudine. Per questo, sempre che sia possibile, è importante che i bambini visitino i loro cari in ospedale. Le risposte alle loro domande devono essere semplici, chiare e sincere. Prima dei dieci anni è difficile comprendere l’idea della vita dopo la morte, anche se i bambini usano per comunicare i verbi vivere, essere vivo, morire e cominciano a distinguere ciò che è animato (persone, animali) da ciò che è inanimato (giocattoli, oggetti). È verso gli otto o nove anni che essi vivono il senso di separazione come abbandono, e a volte si sentono in colpa perché pensano d’essere causa del decesso in quanto semplicemente qualche tempo prima si sono arrabbiati, comportati male o non hanno ubbidito al defunto.
Per loro la morte è cattiva, colpisce le persone e può colpire anche loro. Hanno paura della morte, la vedono raffigurata come una specie di «mostro» che può arrivare per fare del male o strapparli dalla loro casa. Durante la pre-adolescenza, invece, la morte acquisisce una connotazione emotiva molto più intensa, tanto che cominciano a temere che i loro cari possano morire; sono curiosi di sapere cosa accade dopo la morte, e tra coetanei parlano spesso di fantasmi e dialogano sull’argomento rispecchiando la fede religiosa e l’etica appresa durante l’infanzia.
Se nel momento del lutto comunichiamo ai bambini la nostra disponibilità all’ascolto e a parlare di ciò che stanno vivendo, essi ci faranno tante domande e a queste dobbiamo rispondere con le nostre convinzioni religiose ed etiche. È il modo di rispondere che richiede da parte dell’adulto una riflessione. Se il bambino è abituato a sentire in famiglia che le persone che muoiono vanno in cielo, alla sua domanda «e ora dove è?», noi risponderemo che la persona deceduta «è in cielo»: in questo modo il bambino potrà accettare la nostra risposta più facilmente. Se non abbiamo mai affrontato l’argomento, alla nostra risposta «è in cielo», «ora è con Dio» ecc. il bambino potrà avere paura perché potrà pensare che Dio prende i suoi cari per portarli in cielo quando lui soffre.
Un altro racconto che gli adulti utilizzano per dire che un fratello o un bambino è deceduto è: «ora è un angelo che vola verso il cielo». Questa immagine che offriamo può non essere compresa e il bambino può arrivare a credere che il fratello o la sorella «volino» sempre, e quindi che da un momento all’altro si possano presentare a casa. A volte il cielo può essere percepito come un luogo, e quindi è probabile che sorga la domanda: «Dov’ è questo luogo» oppure «ritornerà presto da quel luogo?».
Infine, sempre come esempio, non dobbiamo dire a un bambino che la persona deceduta sta dormendo se prima non abbiamo parlato con lui della morte; ciò infatti può creare uno stato d’ansia e di paura nel momento di coricarsi e indurlo a pensare che anche lui, dormendo, può morire.
Noi dobbiamo dire semplicemente la verità. Ad esempio, possiamo spiegare che la persona a lui cara non può essere insieme con noi perché il suo corpo non è più vivo, e ciò vuol dire che non parla, non si muove, non vede.
Con i bambini è importante porre l’accento sul fatto che la persona defunta non tornerà. E, se desidera capire dove è il suo corpo, dobbiamo rispondere nello stesso modo in cui hanno risposto a noi durante il momento liturgico di commiato.
L’adulto di fiducia deve avere cura nel modo di presentare la sua esperienza di fede perché, ad esempio, pronunciando «io credo» egli lascerà nel bambino un’impronta e potrebbe non lasciarlo libero di pensare in modo diverso. La condivisione della fede deve essere cercata nel profondo di ciascuno/a di noi e rimane strettamente legata all’ambito dell’intimità dell’essere umano e del suo rapporto con Dio, nonché delle sue scelte di vita personale, etica e spirituale.
Per elaborare e affrontare il proprio lutto i bambini, come noi, hanno bisogno di tempo. Se in questo processo di elaborazione sentiranno chi li sostiene, li guida e li protegge, vuol dire che è stata offerta loro la possibilità di accettare la perdita della persona cara in modo meno traumatico, evitando che la notizia arrivi per altri canali che possono provocare una reazione negativa.
Il/la bambino/a ha il diritto di prepararsi ad affrontare la perdita della persona cara e di essere informato quanto prima da qualcuno/a di sua fiducia; la persona che comunicherà la notizia dovrà prepararsi a reazioni quali: pianto, rabbia, rottura di oggetti o colpi. È importante mantenere un atteggiamento fermo, sereno e attento, senza rimproveri. L’abbraccio, il conforto e la compassione di chi comunicherà la notizia parleranno anche essi del Dio che non ci lascia soli né sole. Infine, far partecipare i bambini ai momenti liturgici di commiato li aiuterà nell’elaborazione del lutto, soprattutto se sono adolescenti. In questi momenti non dobbiamo trascurare l’importanza di orientare e accompagnare i bambini raccontando ciò che accadde, anticipando le loro domande sui diversi momenti della celebrazione religiosa e rispettando la loro volontà di partecipazione.
Durante l’elaborazione del lutto i ricordi che una fotografia, un oggetto o un luogo ci offrono aiuteranno a non perdere la memoria dei momenti trascorsi insieme, consapevoli che la morte non cancella il valore di una vita vissuta. Il lutto è un’esperienza profondamente umana come lo è giocare, ridere, piangere, mangiare e dormire. È un modo per dire «addio», «mi manchi», «la mia vita è cambiata». Tutti/e abbiamo bisogno di tempo per imparare a vivere senza la persona amata. Parlare al bambino del cielo senza affrontare prima la realtà di ciò che la morte implica come fatto umano, qui sulla terra, significa continuare a vedere la morte come tabù piuttosto che donare speranza.
Anche l’apostolo Paolo prima di affermare che «in Cristo saremo tutti/e vivificati» ha detto che «in Adamo tutti/e moriamo» (1 Corinzi 15, 22). Ciò non nega che al di là della morte c’è l’amore. Come dice Miguez Bonino «c’è una vita umana e c’è una storia umana al di là della morte e al di là di questo mondo. Questa è la natura e il fondamento della speranza cristiana» (Espacio para ser hombres, p. 64).