ALLE FRONDE DEI SALICI 

E come potevamo noi cantare 

Con il piede straniero sopra il cuore, 

fra i morti abbandonati nelle piazze 

sull’erba dura di ghiaccio, al lamento 

d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero 

della madre che andava incontro al figlio 

crocifisso sul palo del telegrafo? 

Alle fronde dei salici, per voto, anche le nostre cetre erano appese, oscillavano lievi al triste vento. 

(Salvatore Quasimodo)

 

 

Alle Chiese

Ai/alle pastori/e

Ai responsabili di Chiesa

Care sorelle e cari fratelli, il 4 aprile inizierà la settimana di Evangelizzazione per i Diritti Umani promossa dal D.E. dell’Ucebi in condivisione con le Chiese Valdesi e Metodiste.

Da tale data, che coincide con la morte del Pastore Battista M.L. King, fino alla domenica successiva, 9 aprile, vorremmo offrirvi degli spunti per condurre riunioni di preghiera, condividere meditazioni e proporre animazioni che aiutino le nostre comunità a far risuonare la Parola dell’Evangelo laddove c’è bisogno, andando a curare nel nome di Gesù le piaghe che affliggono la nostra società.

Nei prossimi giorni pubblicheremo online delle tracce e proposte liturgiche che potrete reperire e scaricare dal sito del Seminatore. Esse seguiranno il filo rosso del canto per affrontare diverse tematiche inerenti i diritti umani: i diritti delle donne; la libertà religiosa; il diritto dei bambini al gioco, alla gioia e alla vita; la dignità del lavoro; i diritti delle persone affette da disabilità e il diritto del creato.

Il punto di partenza di questo nostro itinerario è offerto da una struggente poesia di Quasimodo che, com’è noto, ricalca i versi del Salmo 137:

«Ai salici delle sponde avevamo appeso le nostre cetre. Là ci chiedevano delle canzoni quelli che ci avevano deportati, dei canti di gioia quelli che ci opprimevano, dicendo: “Cantateci canzoni di Sion!” Come potremmo cantare i canti del SIGNORE in terra straniera?»

Il senso di questi testi è chiaro, davanti allo scandalo della negazione di ogni più elementare diritto umano la voce “dei figli e delle figlie del Canto” tende ad affievolirsi, fino a tacere.

Di fronte alle tante sfide globali e, a 500 anni dalla Riforma, alle delusioni dovute a una fede fin troppo poco incisiva, non saremo tentati anche noi di appendere i nostri strumenti “alle fronde dei salici”?

C’è una storia forse di fantasia, ma per certo istruttiva, che ci incoraggia a proseguire nella missione che Dio ci ha affidata.

«Era il 18 novembre 1995, e il celebre violinista Itzhak Perlman si esibiva al Lincoln Center di New York City. Camminava con le stampelle, a causa della poliomielite avuta da bambino. Il pubblico attendeva pazientemente che attraversasse il palcoscenico fino ad arrivare alla sedia.

Si sedette, appoggiò le stampelle al suolo, rimosse i rinforzi dalle gambe, si sistemò nella sua posa caratteristica, un piede piegato all’indietro, l’altro spinto in avanti, si piegò verso il basso per prendere il violino, lo trattenne fermamente con il mento, e fece un cenno col capo al direttore d’orchestra per indicare di essere pronto. Era un rituale familiare per i fan di Perlman. Ma quella volta qualcosa andò storto.

Poco dopo aver suonato le prime note, una delle corde del suo violino si ruppe. La si poté sentire spezzarsi con uno schiocco secco, esplose come un colpo di pistola attraverso la stanza. Non c’erano dubbi su ciò che significava quel suono. Non c’erano dubbi su cosa avrebbe dovuto fare.

Era ovvio, avrebbe dovuto posare il suo violino, rimettere i rinforzi per le gambe, prendere le stampelle, alzarsi in piedi, dirigersi faticosamente dietro le quinte e prendere un altro violino o cambiare la corda del suo violino.

Ma non lo fece. Perlman Chiuse gli occhi per un momento, e poi segnalò al direttore d’orchestra di iniziare da capo. Il pubblico era ammaliato.

Tutti sanno che è impossibile suonare un brano sinfonico con solo tre corde. Io lo so, e voi lo sapete, ma quella notte Itzhak Perlman si rifiutò di saperlo. Suonò con una tale passione ed un tale potere ed una tale purezza che lo si poteva vederlo modulare, cambiare e ricomporre il pezzo nella sua testa. Quando finì ci fu un silenzio reverenziale, e poi il pubblico si levò, come una cosa sola. Erano tutti in piedi, urlavano e applaudivano, facendo tutto ciò che potevano per mostrare quanto apprezzavano ciò che aveva fatto. Egli sorrise, si asciugò il sudore dalla fronte, alzò il suo archetto per quietare il pubblico, e poi disse: “Sapete, talvolta è compito dell’artista scoprire quanta musica può ancora creare con ciò che gli è rimasto”».

Dai campi di cotone, fino alle marce condotte da King, i servi e le serve del Signore cantano sperando contro speranza. Canta il balbuziente Mosè (donando speranza agli schiavi oppressi), canta la giudice Deborah (donando forza alle donne umiliate), cantano Paolo e Sila in prigione (regalando libertà ai prigionieri), cantano i bambini che gridano Osanna (offrendo gioia a chi si vede la propria infanzia derubata), cantano al Dio dell’universo tutte le creature in cui v’è un alito di vita (reclamando il diritto alla vita di tutto il creato).

Non cantiamo solo per noi stessi/e, o solo per ciò che ci resta, ma soprattutto per ciò che ancora ci attende TUTTI/E nel Regno di Dio che viene.

Offriamo a questo nostro amato mondo lo spartito dell’Evangelo.

Il Segretario del Dipartimento di Evangelizzazione

Past. Ev. Ivano De Gasperis

Via Monte Bianco, 91 00141 Roma

340 0741842; ivanodegasperis@hotmail.it

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